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Il quarto comandamento: il peso di una tragedia

PARLA FRANCESCA BARRA | di Alessia Acanfora
di Alessia Acanfora

Onora il padre e la madre. E’ il quarto comandamento. Quello che apre la seconda tavola della Legge. Quello che indica l’ordine della carità nella religione cattolica: Dio ha voluto che, dopo lui, onoriamo i nostri genitori ai quali dobbiamo la vita. “Quarto comandamento” è il libro scritto dalla giornalista Francesca Barra, edito da Rizzoli, in cui è racchiusa la vera storia di Mario e Giuseppe Francese: un padre ucciso dalla mafia e un figlio che gli ha reso giustizia, onorando per sempre la sua memoria. Mario Francese, giornalista di punta del “Giornale di Sicilia”, si occupava di cronaca nera. Aveva fiuto. Era il primo ad arrivare sulla scena del delitto. Carpiva dettagli, congetture. Era arguto. E morì per una colpa imperdonabile: quella di aver parlato.

Osò scrivere della trasformazione imprenditoriale di Cosa Nostra.
Mario Francese era un uomo libero, un giornalista onesto ma soprattutto il padre di quattro figli che adorava: Giulio, Fabio, Massimo e Giuseppe. Quando li ha lasciati aveva cinquantatrè anni. Il peso di questa tragedia ha travolto e legato in una catena di dolore il destino della famiglia Francese. Giuseppe, il figlio più piccolo, aveva appena 12 anni quando il padre fu assassinato sotto casa il 26 gennaio del 1979. Sentì gli spari. E sgranò i suoi profondi occhi neri quando la madre gli spiegò che qualcuno aveva portato via per sempre il suo papà. Quel qualcuno era la Mafia.
Giuseppe divenne grande cercando di dare un volto alla “Mafia”. La sua ossessione fu quella di far riaprire il processo. Anno dopo anno ripercorse la strada battuta dal padre in un difficile e doloroso processo di identificazione. E dopo quasi 20 anni di omertoso silenzio, coadiuvato dal fratello Fabio, riuscì nell’impresa di regolare i conti col passato facendo condannare mezza Cupola: Bagarella, Riina e Provenzano.
Tragico però l’epilogo di questa storia: dopo aver reso giustizia al padre, Giuseppe si tolse la vita perché non riuscì mai a superare e colmare quella grande assenza. Come due fili intrecciati, le vite di Mario e suo figlio, dunque, hanno seguito una traiettoria simile, un percorso alla ricerca della verità che purtroppo li ha condotti entrambi a una morte prematura.
La storia della vita di Mario Francese è un esempio di onestà che il tempo non può e non deve cancellare, Francesca Barra ha avuto il merito di raccontarcela quasi in punta di piedi, senza retorica, affidandosi alle ricerche ma anche ai sentimenti. “E’ una storia forte, e ho scritto il mio libro di pancia”, mi racconta nel giorno della presentazione romana alla libreria Feltrinelli.

Come hai scoperto la storia di Mario Francese?
Conduco su radio 1 rai un programma radiofonico che si chiama “La bellezza contro le mafie” e in due anni ho raccontato quasi 800 storie. Era inevitabile che, da giornalista appassionata dell’inchiesta condotta sul campo, e non da comode scrivanie, io fossi affascinata dalla figura di un giornalista di cronaca e giudiziaria come Mario Francese. Era il giornalista di punta del Giornale di Sicilia, in anni caldi, in cui la nuova mafia stava prendendo il sopravvento. E lui ne scriveva, quasi ogni giorno, facendo nomi e cognomi. Aveva denunciato l’ascesa dei corleonesIi e il giro di affari su cui avevano posato l’attenzione e i tentacoli”.

Cosa ti ha spinto a un certo punto della tua carriera a cercare “altro” a guardarti intorno scegliendo proprio il tema della mafia?
Quando ero piccola volevo diventare una scrittrice e crescendo ho capito di essere portata per raccontare storie. Vere. Avevo bisogno di sentirmi utile, di ricercare la verità, di posare sola lo sguardo sulle cose e di aiutare il prossimo a non chiudere gli occhi. Non ho “scelto” di parlare di mafia. Io ho scelto di raccontare il nostro Paese e le organizzazioni criminali sono il problema più grosso e urgente. Credo di fare il mio dovere di cittadina che crede nella legalità e da professionista che si impegna a non far dimenticare.

Ti sei mai sentita giornalista “scomoda”?

Non mi sono mai sentita una giornalista scomoda. Ma una donna nel posto sbagliato al momento sbagliato, questo sì. Per una donna è un mestiere che comporta grossi sacrifici.

Giulio Francese ti ha chiesto di “mettere un punto” sulla storia di suo padre. Credi di averlo fatto?

No. Non ci sarà mai davvero un punto dopo un dolore simile. Ma si può distendere quel nervo teso e scoperto, ammorbidire. Quello forse e lo spero.

Hai detto: “Chi resta in silenzio è colpevole come chi preme il grilletto”. Perché nessuno aveva mai avuto il coraggio che tu hai avuto nel riportare a galla questa storia?
Non capirò mai perchè non si è parlato abbastanza di Mario Francese. Ma so che non parlarne voleva dire mettere a tacere la propria responsabilità nei confronti di un collega scomparso per aver fatto il proprio dovere e con grande talento.
 

 

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