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Manovra, caos e teatrini

di Fabio Germani

di Fabio Germani

Tecnicismi a parte, la manovra è mutata nell’essenza. Da necessaria e urgente al fine di stabilizzare la volatilità dei mercati si è trasformata in umorale ed elettorale in questi ultimi giorni. La sovrattassa prevista in un primo momento sui redditi più alti (o contributo di solidarietà, che dir si voglia) ha fatto passare diversi brutti quarti d’ora al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Il quale mal sopportava l’idea – ne ha fatto un credo politico – di infilare le mani nelle tasche degli italiani. A questo era servito il vertice di Arcore: a ristabilire le priorità, che mai avrebbero dovuto esercitare una siffatta ingerenza sulla vita dei cittadini. Un escamotage, insomma, al solo scopo di ribadire la leadership e la propria capacità decisionista, persino al cospetto dell’intransigenza del Carroccio. Ma neppure il tempo di riscriverla, la manovra, di cancellare norme qua e là e di formularne di nuove, che già si era alzato un vespaio non indifferente e nel giro di appena 24 ore i commentatori di ogni dove e parrocchia erano prontamente sul piede di guerra.
Una manovra, questa ripensata dai Grandi di Arcore, che nella precedente versione era stata avallata da Bruxelles durante le roventi giornate ferragostane e che adesso (sono 1.300 gli emendamenti presentati al Senato) rischia di venire stravolta e che secondo le stime dei tecnici del Tesoro manca di cinque miliardi sui 45 previsti per l’anticipo del pareggio di bilancio. Poco male se c’è da convincere una buona fetta di italiani che non verrà loro sottratto un euro in più. Ammesso che siano ancora disposti ad assistere a un simile teatrino.

 

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