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La democrazia oggi, come promuoverla?

di Fabio Germani

Sebbene consapevoli della gravità della situazione, in settimana abbiamo tentato un approccio che mirasse non solo all’analisi politica ed economica del Paese (i giornali sono già pieni di indiscrezioni e inutili dietrologismi), ma che allargasse il proprio orizzonte altrove evitando un campanilismo forsennato. Da Genova alla Tunisa, passando per la Grecia (vicende monitorate costantemente da T-Mag), qualsiasi emergenza o evento epocale richiede uno sforzo sovrumano. La crisi economica e i profondi mutamenti politici delle ultime settimane stanno non a caso imponendo nuovi paradigmi. Quale futuro per la democrazia, quindi?
Partiamo da un presupposto, che ormai è anche un imperativo: sviluppo e democrazia non possono più prescindere l’uno dall’altra. Il pensiero è stato espresso in occasione del meeting della Alliance of Democrats, Il futuro della democrazia, che si è tenuto venerdì nella Sala del Mappamondo alla Camera. La primavera araba è stata probabilmente l’emblema di quei mutamenti sociali e politici. “Ma non bastano le elezioni libere come in Tunisia – ha osservato il coordinatore di Alliance of Democrats, Gianni Vernetti –, serve multipartitismo, indipendenza della stampa e della magistratura, nascita di associazioni e sindacati, ruolo delle donne, che si disponga di poteri bilanciati”.
Osservazione che fa il paio con quanto affermato dal professore tunisino, Touhami Abdouli, nell’intervista a T-Mag l’indomani delle prime elezioni libere dopo l’era Ben Ali: “Chi sarà incaricato di governare è una domanda arcaica e non una questione basilare. Noi adesso stiamo rispondendo su ‘come governare democraticamente’ ed ‘essere un modello tra i modelli’”.
Certo, quanto accaduto in Tunisia, Egitto e Libia è sintomatico di un mondo che va cambiando. C’è una maggiore consapevolezza di sé, dell’essere umano, dei propri diritti. Siamo interconnessi – come spesso si dice – e grazie alla Rete ci riversiamo nelle piazze pronti a far sentire le nostre voci. Ma i percorsi restano impervi. Basta ascoltare le parole di Bhuran Ghalioun, presidente del Consiglio nazionale di transizione della Siria, in rappresentanza delle forze di opposizione al regime di Assad. “La nostra lotta ci costa 25, 30 morti al giorno”. O ancora quelle pronunciate da Mohamed Ali Zeidan, rappresentante del Consiglio nazionale transitorio libico: “La rivolta contro Gheddafi ha provocato vittime e violenze. Adesso dobbiamo gettare le basi della democrazia nel rispetto dei diritti umani. Per costruirla ora è importante disarmare la popolazione”.
In questo quadro l’Europa è chiamata senz’altro ad una maggiore responsabilità. Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, intervenuto all’incontro, ha sottolineato come l’Unione europea sia dinanzi a un bivio. “Deve cioè comprendere che è giunto il momento di dotarsi del pilastro della politica estera comune” affinché “abbia un ruolo più attivo”.
“L’Europa – ha dunque aggiunto Fini – è chiamata in modo ineludibile a delineare una nuova strategia euromediterranea, dopo il sostanziale fallimento dell’Unione per il Mediterraneo”.
Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha da par suo aperto ai giovani. “Dobbiamo ripensare la politica dei visti per gli studenti. I confini devono aprirsi ai giovani della sponda sud del Mediterraneo come avvenne per i giovani dell’est europeo quando il Vecchio Continente si è riunito”.
“I giovani – ha aggiunto il ministro degli Esteri – rappresentano la migliore arma dall’interno di un sistema per contrastare i fondamentalismi”.

 

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