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Crescere innovando al tempo della crisi

di Fabio Germani

Il lancio di Volunia, nuovo (social) motore di ricerca made in Italy, dà il la ad una serie di riflessioni riguardo l’impatto della Rete sulla crescita economica. Ed è un discorso, questo, che esula dalle reali potenzialità che Volunia sarà in grado di sviluppare. Non c’è dubbio che il progetto ha riscosso un discreto successo mediatico. Gli esperti dubitano però che possa davvero giocarsela a viso aperto con un colosso come Google, tanto che Massimo Marchiori, ideatore di Volunia, ha preso immediatamente le distanze da tale accostamento. Ma se Marchiori è riuscito a godere dei favori della stampa lo deve ad un unico e dirimente fattore: essere rimasto in Italia a tentare di fare innovazione piuttosto che cedere alle lusinghe di Big G. E ciò, se non altro, gli rende con largo anticipo l’onore delle armi. Il messaggio forte e chiaro (sottolineato durante la presentazione di Volunia all’Università di Padova) è stato, non a caso, quello di tornare a fare impresa, coniugando gli aspetti innovativi della Rete e l’impianto accademico. Un po’ come avviene all’estero, soprattutto negli Stati Uniti. Al momento l’esperienza italiana (che pure presenta delle piccole eccellenze nel settore) non vanta modelli di riferimento in stile Facebook. Tuttavia è necessario ricordare che nel nostro Paese internet (rilevazioni Digital Advisory Group) pesa fino al 2% del Pil (l’agricoltura, per dire, è al 2,3) per un contributo alla crescita pari al 14%. Altrove le cose vanno anche meglio: in Francia vale più del 3% e nel Regno Unito e in Svezia supera il 5%. Ma almeno è già un inizio.
Secondo l’ultima indagine Audiweb nel 2011 la diffusione dell’online è aumentata del 6,9% rispetto al 2010, con 35,8 milioni di italiani tra gli 11 e i 74 anni che hanno dichiarato di accedere a internet da qualsiasi luogo e con qualsiasi dispositivo. L’accesso alla Rete delle famiglie (dati Istat) è passato dal 52,4% del 2010 al 54,5% dell’anno scorso. Numeri che rendono bene l’idea di come la Società dell’Informazione rappresenti un pubblico sempre più vasto.
Il 12 gennaio l’Agcom ha inviato una segnalazione al governo in tema di liberalizzazioni e crescita sull’opportunità di dotarsi di un’Agenda digitale in ossequio agli obiettivi posti in materia dall’Unione europea. “È ormai un punto fermo – osservava l’Agcom –, supportato da evidenze e stime accreditate da parte di studiosi ed organismi internazionali, che la diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (lCT), che consentono lo sviluppo di un ecosistema digitale, è alla base del recupero di produttività per migliorare la competitività internazionale di un Paese e per creare nuova occupazione qualificata. Al giorno d’oggi nessun altro settore è in grado di accelerare in misura comparabile la crescita e lo sviluppo del Paese, in un momento in cui se ne avverte così fortemente la necessità. Soprattutto per le nuove generazioni. Il passaggio ad un’economia digitale di sistema è uno snodo cruciale per passare da un’economia di redistribuzione ad una di crescita. Molteplici studi di caratura internazionale evidenziano che le reti intelligenti di nuova generazione, fisse e mobili, possono promuovere la crescita e al contempo generare importanti risparmi”.
Il governo ha accennato un timido approccio con il decreto semplificazioni che prevede, tra le altre cose, la digitalizzazione di molte procedure altrimenti dispendiose sia in termini temporali che strutturali: il cambio di residenza, l’iscrizione nelle liste elettorali, i certificati anagrafici o il rinnovo dei documenti di identità, la partecipazione ai concorsi pubblici nonché la verbalizzazione degli esami universitari. Per quanto riguarda l’Agenda digitale, l’esecutivo ha indicato quattro punti programmatici: “Primo, la costituzione di una cabina di regia per lo sviluppo della banda larga e ultra-larga. Ancora oggi, quasi 8,5 milioni di italiani si trovano in condizione di ‘divario digitale’ e più di seimila centri abitati soffrono un ‘deficit infrastrutturale’ che rende più complessa la vita dei cittadini. Secondo, apertura all’ingresso dell’open data, ossia la diffusione in rete dei dati in possesso delle amministrazioni, nell’ottica della totale trasparenza. Terzo, utilizzo del cloud, ovvero la dematerializzazione e condivisione dei dati tra le pubbliche amministrazioni. Quarto, gli incentivi alle smart communities, gli spazi virtuali in cui i cittadini possono scambiare opinioni, discutere dei problemi e, soprattutto, stimolare soluzioni condivise”.
Anche in questo caso siamo ancora alla fase embrionale di ciò che dovrà essere l’Agenda digitale, per quanto l’individuazione delle priorità sia da ritenersi un aspetto positivo. Innanzi tutto, infatti, occorrerà abbattere gli ultimi ostacoli e, in seguito, promuovere la formazione – risultata fin qui stagnante – di nuove professionalità. In poche parole, favorire l’innovazione.

 

1 Commento per “Crescere innovando al tempo della crisi”

  1. […] non perseguendo esclusivamente schemi obsoleti. Non solo articolo 18, dunque. Soprattutto innovazione, sostenibilità, capacità esecutiva in caso di emergenze, maggiori tutele preventive che facciano […]

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