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Sostenibilità: una latente emergenza

di Marco D'Egidio

E’ stata una settimana da dimenticare, una settimana che difficilmente dimenticheremo. L’ondata di freddo eccezionale che ha investito l’Italia riversando abbondanti nevicate da nord a sud, Roma compresa, suggestiva e in preda al panico, ha causato la congestione delle arterie delle nostre città, la paralisi del sistema di trasporti pubblici, il collasso di alcuni servizi essenziali come la fornitura di elettricità e acqua a interi paesi, i disagi più o meno gravi di centinaia di migliaia di persone. In Italia la responsabilità è sempre di qualcun altro: siamo probabilmente i campioni mondiali nello sport dello scaricabarile, e c’è da scommettere che anche questa volta la catena delle responsabilità, che ogni sospetto responsabile allunga di quel tanto che basta per non ritrovarsi l’ultimo anello proprio nelle sue mani, si perderà fatalmente all’orizzonte. Tutto si spegnerà nella solita rassegnazione del “siamo fatti così”, “questa è l’Italia”, “c’è poco da fare”.
E se fosse proprio questa la verità, o comunque una sua parte? Non tanto la nostra antropologia, seppure sia la prima cosa che viene in mente; non tanto la gestione quanto la struttura del nostro Paese, cioè del territorio in cui viviamo e che ogni giorno trasformiamo (beninteso, sempre qualcun altro più di me). Possiamo, dobbiamo spargere il sale sulle strade prima di nevicate altamente probabili, così come è sacrosanto aspettarsi il tempestivo intervento degli spazzaneve durante e dopo l’evento. Ma mezza Roma si blocca anche sotto il sole d’ottobre, per l’inaugurazione di un Trony qualsiasi. Dobbiamo (dobbiamo!) pretendere di non essere lasciati al gelo di un vagone spento nella steppa romagnola per ore e ore, al buio di ogni informazione, ma si può immaginare come nevicate eccezionali soprattutto in Emilia -e rarissime a Roma- possano causare pesanti ritardi e soppressioni di treni: un solo convoglio fermo per problemi tecnici può determinare per effetto collo di bottiglia il ritardo di altri mezzi magari perfettamente funzionanti. Ma dal tabellone della stazione non si riesce a capire di quale treno è la “colpa”.
Siamo uno dei Paesi con i più alti indici di motorizzazione al mondo: circa 60 automobili ogni 100 abitanti secondo i dati Eurostat, dietro, in Europa, solo al Lussemburgo (tutta un’altra realtà). A livello mondiale, come riporta un dossier Legambiente del 2009, ci superano Stati Uniti e Australia, e non è difficile intuire il perché: la dispersione antropica sul territorio collegata alle grandi distanze. Il numero di automobili pro capite rivela forse meglio di ogni altro indice la difficoltà percepita di spostamento in un Paese. Ma spesso la difficoltà percepita è anche la difficoltà reale, perché non solo i mezzi pubblici sono inefficienti e inaffidabili, ma possono anche, “colpevolmente” o meno, non arrivare fino a casa tua. Il recente dossier Terra rubata, a cura del FAI e del WWF, riporta un dato eloquente: non è sostanzialmente possibile tracciare un cerchio di 10 km di diametro in Italia senza intercettare un nucleo urbano. Per motivi storici e, oggi, anche socio-economici viviamo sparpagliati all’ombra di mille campanili, dovendoci spostare quotidianamente al di fuori del proprio Comune o zona di abitazione per studiare o lavorare: e come, se non in macchina? Le città ingrossano a cerchi concentrici di periferie, complici i prezzi che rendono inaccessibile il centro città ai nuovi nuclei familiari. In questo modo, la popolazione si stratifica e la città si sdoppia tra un nucleo frequentato di giorno e i quartieri residenziali periferici pressoché adibiti a dormitori.
Servizi ormai sempre più concentrati (si pensi ai centri commerciali) e alta dispersione residenziale, mentre occorrerebbe l’esatto contrario: coesione spaziale e servizi distribuiti, senza arrivare a scomodare i teorici della “smart city” che al momento, almeno in Italia, è fantascienza. Basta poco per mandare in tilt un sistema-Paese così entropico. Nell’ormai mitico nord Europa caos simili a quello scoppiato in Italia nel weekend dell’emergenza neve (ancora in corso, speriamo bene) forse non succedono, ma i confronti devono essere fatti a parità di contesto. E il contesto, in questo caso, è l’hardware di ogni Paese, la sua conformazione fisica, il tessuto urbano, la rete infrastrutturale. Sono i requisiti di sistema che permettono l’utilizzo di software di gestione più o meno sofisticati.
Questo per dire che la sostenibilità non è una parola per farsi belli ai convegni o ai comizi, né una fissazione degli ambientalisti, ma è la vera emergenza latente italiana. Non c’è sostenibilità nel modo in cui viviamo perché non c’è una visione comune a lungo termine sul modello di sviluppo da seguire. Oggi si costruisce consumando suolo secondo la logica “non sappia la tua mano destra quello che fa la tua mano sinistra”, ancor più vero se la destra e la sinistra corrispondono ai due opposti schieramenti politici. Domani la parola d’ordine sarà rinnovare l’esistente, si tratti di acquedotti, case o intere città. E razionalizzare le reti infrastrutturali e di comunicazione. Avremo imparato a fronteggiare le emergenze quando governeremo con efficienza il quotidiano. Lavori in corso?

 

2 Commenti per “Sostenibilità: una latente emergenza”

  1. […] non significa ricostruire daccapo le città, bensì rimodellarle seguendo innovazioni che producano una nuova sostenibilità. Si chiama prevenzione, volendo. E a chi obietta che in questa fase trovare fondi per la messa in […]

  2. […] perseguendo esclusivamente schemi obsoleti. Non solo articolo 18, dunque. Soprattutto innovazione, sostenibilità, capacità esecutiva in caso di emergenze, maggiori tutele preventive che facciano risparmiare […]

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