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Cento giorni dopo

La cora di Monti e il malessere dei partiti
di Marcello Sorgi

Proverbiale e convenzionale quanto si vuole, la scadenza dei primi cento giorni di governo nella prossima settimana non sarà affatto un’occasione rituale. Non perché già sia tempo di bilanci, tutt’altro. Ma perché, è quasi inutile ripeterlo, quello di Monti è un esecutivo diverso da tutti i precedenti del vasto catalogo di formule ed espedienti sperimentati in oltre sessant’anni. E dopo il Berlusconi I del 1994, per non andare troppo indietro nel tempo, è senz’altro quello che ha portato il maggior tasso di discontinuità con il passato, quasi che con Monti sia morta la Seconda Repubblica e sia cominciata, o stia per partire, la Terza.
Sull’importanza delle novità introdotte fin qui, non c’è dubbio. Basti solo pensare al punto in cui eravamo poco più di tre mesi fa: dopo la rottura della maggioranza di centrodestra, a soli due anni e mezzo dalle elezioni, la legislatura si era avvitata su se stessa e il governo del Cavaliere boccheggiava, appeso a un’esigua manciata di voti negoziati uno per uno con i transfughi di diversi partiti, dall’Udc di Casini all’Idv di Di Pietro, senza riuscire a realizzare né il proprio programma, né le necessarie scelte di rigore imposte dalla crisi dell’euro. In una guerriglia quotidiana di tutti contro tutti Berlusconi versus Tremonti, o Bossi, o addirittura Scilipoti e Romano, quando non vittima delle faide intestine del suo stesso partito – il governo era paralizzato dai suoi problemi più che dalla durezza dell’opposizione.

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