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La crisi ci fa riscoprire la solidarietà

di Carlo Buttaroni

Il prima e il dopo sono distinti, inconfondibili. Parlano lingue diverse, formulano pensieri diversi, si muovono in direzioni diverse. Com’è stato possibile non pensare che sarebbe successo? Ma davvero le mamme si svegliano tutte belle, truccate e sorridenti e i papà sono tutti giovani, con un lavoro gratificante e appena svegli scherzano e ridono con i loro bambini, ovviamente belli anche loro?
E’ finito il tempo del doping sociale, ove le opinioni scaturivano solamente nell’ambito di un condizionamento che tentava in questo modo di assicurare il funzionamento della società stessa. Vere e proprie illusioni del sapere, che per lungo tempo hanno portato a distorti processi mentali accettati ed elaborati come verità scontate.
L’anno zero è veramente arrivato. E abbiamo scoperto che la crisi che stiamo vivendo non riguarda solo l’economia, ma ha messo a nudo le contraddizioni di un modello che voleva crescere nutrendosi di se stesso, che prometteva di riprodursi all’infinito senza bisogno di creare valore, semplicemente sottraendo quote di futuro e bruciando solidarietà. Ci si è voluti vedere felici mentre fiumi, mari, laghi, sorgenti, venivano riempiti di scorie di tutti i tipi. Si è dato forma a una società popolata da personaggi improbabili, “usa e getta”, che di volta in volta sono state veline, calciatori, cantanti, attori che hanno affollato le tante isole famose della televisione, dove le parole non servivano a riconoscersi, ma rappresentavano una recita, una lingua che si parla da sola.
Non ci si può che stupire di fronte a tanta miopia. Come si è potuto, per tanto tempo, guardare senza vedere?
Ma adesso l’io-ipertrofico si è ammalato dopo essersi nutrito, troppo a lungo, dei titoli di borsa, del valore della conversione dell’etica in euro, della conquista di territori innaturali per l’uomo, dove regna l’individuo isolato e senza comunità e predomina il buio della solidarietà e della coscienza sociale.
Una frattura arrivata a compimento. E tutto sembra distante e non più replicabile nel momento in cui la crisi sta presentando i conti: drammatici. Una crisi che ha cambiato abitudini e stili di vita, certo, ma che sembra aver fatto riscoprire, allo stesso tempo, valori che si credevano ormai perduti e nuove forme di solidarietà.
Insieme alla contrazione dei consumi prende corpo, infatti, una nuova consapevolezza di esserci in prima persona, di non essere più lontani ed estranei da ciò che accade nel mondo che abitiamo. Si fa più forte il desiderio di uscire dall’angolo dell’individualismo autoreferenziale per guardare, con maggiore attenzione, ai legami e alle responsabilità che ciascuno ha di fronte ai propri simili, considerati non più soltanto come limite, ma anche come condizione irrinunciabile della libertà individuale.
D’altra parte, l’uomo non risponde a due chiamate diverse, una sociale e una individuale; non persegue due destini, ma cresce e matura come individuo naturalmente dotato di socialità. E non può sopravvivere a se stesso se spogliato della sua completezza, perché qualsiasi ambito è stretto nel momento in cui compie lo sforzo di respirare al massimo.
La ricerca Tecnè fotografa i profondi cambiamenti che investono le sfere dell’esistenza e dello stare insieme: moltissimi hanno cambiato abitudini d’acquisto, cercando di risparmiare il più possibile, rinunciando a quote di “leggerezza” nella vita di tutti i giorni per investire in una rinnovata attenzione rispetto a ciò che è meglio per la società e ai bisogni degli altri, soprattutto se amici e familiari. Cresce il desiderio di manifestare atti di solidarietà e l’interesse nei confronti della politica si esprime in forme nuove, assai lontane dall’osservazione voyeuristica, pantofolaia e disincantata degli ultimi anni.
Prende corpo la visione di un welfare che faccia da cornice allo sviluppo, e che si rafforza nelle sue vocazioni primarie: la sanità, l’assistenza ai più deboli, l’istruzione, i trasporti pubblici.
Ma soprattutto cresce l’attenzione al bene comune, alla dimensione etica, a ciò che è giusto per tutti.
La contrapposizione con il passato recente non potrebbe essere più netta: da una parte l’individualismo egoista, disgregatore di più ampie e morali solidarietà, nutrito nella culla dell’affermazione personale e del successo a tutti i costi; dall’altra, l’etica pubblica, cresciuta nell’alveo di una società civile che ha riscoperto il bisogno di riprendere il filo lacerato di una convivenza solidale come base per la ricostruzione. Un’etica che è punto d’incontro dell’interesse convergente del bene comune, fondata sul valore intrinseco e intangibile della persona umana e della sua dignità, ma anche declinata su una solidarietà condivisa e incastonata tra le righe di nuovi diritti e nuovi doveri. Un ethos inteso non solo come capacità morale, ma anche come competenza e conoscenza, come stimolo e tensione interiore a operare pubblicamente nella giustizia e a favore dell’interesse di tutti.
E qui la distanza con la classe politica non potrebbe essere più ampia. L’accentuazione personalistica degli ultimi anni ha fatto crescere l’autoreferenzialità del sistema, ha logorato idee, svuotato valori e progetti. E i leader politici, prigionieri delle loro icone, hanno perso progressivamente, agli occhi dei cittadini, ogni residuo spirito pubblico, alimentando cronache (e racconti) legate a individualismi sfrenati, egocentrismi, narcisismi, che hanno dato forma a un’inquietante deriva morale.
Si parla dei politici per i loro vizi, le loro deviazioni dal fine del bene comune, i loro sperperi veri o presunti, la loro debole rappresentatività, l’assenza di moralità. E sempre più spesso sono collocati sul piano opposto al mondo delle professionalità e del merito, della società civile che lavora e produce. Una metafora che si è materializzata nelle competenze tecniche del governo dei professori, alternativo ai governi politici della seconda Repubblica.
Ma la politica resta comunque l’unico strumento di regolazione della sfera pubblica. Ed è questa la nuova consapevolezza e la ragione che porta a vivere il governo dei tecnici come una parentesi, una transizione che anticipa una ripartenza, fondata sulla convinzione che la riscoperta dell’etica pubblica invita ogni individuo alla migliore espressione della propria natura e costringe la politica a misurarsi con se stessa, con i suoi modi di fare e di essere, nelle scelte che compie e nei modi in cui le compie. Non è un desiderio astratto quello di dare forma a una nuova stagione che – da predisposizione e buoni propositi – si trasformi in valore concreto e in buone pratiche. Non è un’illusione il desiderio di dare avvio a un tempo di virtù civiche e di virtù morali. Non è ancora un progetto – ma sembra assomigliargli molto – la speranza di far tornare la politica a favore dell’uomo, di rifondare la società su scelte che pongono la questione morale a fondamento di quella civile, di sapersi far carico dell’idea di bene comune per tornare a una dimensione naturale dell’uomo-sociale.
Prende forma la domanda di un nuovo patto, ispirato al comune sentire di una civile appartenenza, che trae forza dal desiderio di dirigersi non più verso l’utile individuale, ma verso il bene della comunità, dove la libertà dell’individuo si accresce e si rafforza in un sistema di valori e di solidarietà intelligente. D’altronde, politica ed etica sono termini che si chiamano reciprocamente. E non rispondere al bisogno di una rifondazione intorno ai valori condivisi di un ethos civile, che ispiri le scelte e le azioni pubbliche, espone al rischio di consolidare la frattura – pericolosissima per la libertà e la democrazia – tra classe politica e società civile.
Non si tratta solo di affermare il primato di questo o di quest’altro modello economico, ma di favorire una riconversione della positività del sociale, innestata su un’idea sostantiva dei diritti e dei doveri. Perché anche i diritti, per essere effettivamente tutelati, al pari dei doveri, devono essere affermati in una dinamica virtuosa, che ha come obiettivo lo sviluppo umano e sociale, come sostanziale medium anche per lo sviluppo economico.
Oggi sappiamo che il livello di benessere di una società non dipende solo dalla ricchezza o dall’accesso alle risorse naturali, ma anche dal grado di fiducia, reciprocità, impegno per gli altri, che deve trovare forma in pratiche diffuse a tutti i livelli. Vi è una parte importante della società che soffre l’assenza di un credito di fiducia mai pienamente accordato, che esprime un’ansia di rinnovamento e di riscatto che trova progressivamente forma in una politica che riparte dal basso, che inizia a progettare e farsi carico di nuove fondamenta civili che poggiano su solide basi etiche e morali. Ma è qui che si consuma l’altro paradosso: il sistema dei partiti, anziché aprirsi e farsi interprete delle nuove istanze, sembra teso a preservare se stesso, incapace di rispondere alle nuove sfide. E si allontana sempre più dalla società, proprio mentre quest’ultima si avvicina sempre più alla politica.

Questo articolo è stato pubblicato su l’Unità del 2 aprile. Di seguito l’indagine Tecnè.

 

1 Commento per “La crisi ci fa riscoprire la solidarietà”

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