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La crisi economica e il disagio sociale

In una giornata di mobilitazioni e nella prospettiva di uno sciopero generale contro la riforma del lavoro, come annunciato dalla leader della Cgil, Susanna Camusso, è d’obbligo una ulteriore riflessione sull’attuale situazione economica e sulla crisi occupazione di cui (quasi) ogni giorno scriviamo. Al netto, si intende, di tante polemiche e discorsi sull’antipolitica imperante.
Perché pare inevitabile osservare come l’area del non voto sia condizionata anche dal profondo senso di scoraggiamento che ha contagiato il Paese, al di là degli scandali politici (per cui ogni nuova indiscrezione è annoverabile, non solo mediaticamente, tra le cattive gestioni della cosa pubblica).
Che lo scoraggiamento e la sfiducia stiano recitando un ruolo fondamentale nell’attuale fase congiunturale lo ha ricordato giovedì l’Istat: nel 2011 sono 2 milioni 897 mila (+4,8%, pari a 133 mila unità in più su base annua) gli inattivi. E di questi il 42,6% (circa 1,2 milioni di unità) dichiara di aver rinunciato a cercare lavoro perché ritiene di non trovarlo. Non c’è una gran differenza tra uomini e donne, ma va allo stesso modo considerato che oltre allo scoraggiamento, la cura dei figli e dei familiari rappresenta per la componente femminile il motivo più significativo della mancata ricerca del lavoro, interessando una donna su cinque. “Per essere competitive le donne non hanno bisogno di quote rosa ma di asili nido, di aiuti per la famiglia e per sostenere il doppio peso che rende difficile la loro vita proessionale”, aveva chiosato il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, in occasione della Festa dell’8 marzo.
Tutto ciò si ripercuote, per forza di cose, anche sui figli sebbene non più giovanissimi. La famiglia è sempre più la prima forma di welfare tra gli individui nella fascia 15-34 anni. Tra questi ultimi, coloro che vivono con i genitori, rappresentano il 42 per cento del campione.
Il disagio sociale, poi, emerge in queste settimane tramite le tristi notizie di persone – tra giovani che non trovano lavoro, cinquantenni che lo hanno appena perso, imprenditori pieni di debiti e a rischio fallimento, pensionati ai quali è stato tagliato l’assegno – che decidono di porre fine alla propria esistenza. Una condizione umana – per cui il professor Guido Sarchielli ci aveva spiegato in una intervista che “ci sono studi, anche se parziali che mostrano un incremento dei suicidi nelle fasi di depressione del ciclo economico” anche se l’atto, di per sé, è un fenomeno molto più complesso – argomentata dal premier Monti durante la presentazione del Def (Documento di economia e finanza) ricordando la grave situazione della Grecia, 1.725 suicidi negli ultimi due anni per via della crisi. La promessa del governo è che si farà di tutto per evitare di finire nello stesso precipizio. Ma intanto tra gli indicatori economici c’è anche la rilevazione trimestrale condotta per Unioncamere da InfoCamere. “Nel primo trimestre del 2012 – viene sottolienato –, si è allargata la forbice della vitalità delle imprese tra chi sceglie di entrare sul mercato creando una nuova attività (sono stati in 120.278 tra gennaio e marzo) e chi, al contrario, ne è uscito (in tutto, 146.368). In particolare, rispetto allo stesso periodo del 2011, le iscrizioni sono diminuite di 5mila unità mentre le cessazioni sono aumentate di ben 12mila unità, con il risultato di un saldo del periodo pari a -26.090 imprese. Praticamente il triplo rispetto ai primi tre mesi del 2011, quando erano mancate all’appello ‘solo’ 9.638 imprese. In termini relativi, la riduzione dello stock delle imprese nel I trimestre è stata pari al -0,43%, contro il -0,16% del 2011”. La pressione fiscale, inoltre, si attesterà nel 2012 al 45,1%, come affermato nel Def. “È il momento più difficile, la crisi morde e si sente nella vita della gente”, ha detto non a caso il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, qualche giorno fa. Per poi aggiungere l’importanza di “continuare sulla strada delle riforme”.

F. G.

 

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