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Ma servirà altro per salvare il Paese

di Fabio Germani

I partiti affilano le armi. Ma non guardano tanto al voto imminente delle amministrative, appuntamento al contrario assai importante, ma tentano di osservare con presunta lungimiranza allo scacchiere che si andrà a delineare nel 2013.
Cosicché si torna indietro di mesi. Ai tempi in cui lo spread, sì, cominciava a salire, ma non metteva poi così tanta paura. E si parlava, all’epoca, di un partito nuovo a cui il Cavaliere stava pensando perché Popolo della libertà non piaceva più. “Italia”, semplicemente, si sarebbe dovuto chiamare il nuovo soggetto politico. O almeno queste erano allora le indiscrezioni che potrebbero essere tornate di moda a via dell’Umiltà. Stavolta non c’è neppure molto di cui stare a discettare. Che i partiti – escluso il Pd, “l’usato sicuro” per dirla con Bersani – siano prossimi a profondi mutamenti è la cronaca di questi ultimi giorni a decretarlo.
Venerdì sono stati azzerati i vertici dell’Udc e Pier Ferdinando Casini ha potuto lanciare in via definitiva quello che sarà il partito della nazione (o qualcosa del genere) al cui interno tenterà di ospitare alcuni degli attuali ministri tecnici, delusi del Pd e del Pdl (i primi indiziati sono i “frondisti” capeggiati da Beppe Pisanu) ed esponenti di spicco della società civile (Luca Cordero di Montezemolo è sempre il più ambito e non solo dai centristi come vedremo tra poco). Dopo l’estate ne sapremo di più così come nel giro di un mese e mezzo scopriremo cosa intendeva Alfano quando venerdì per contraltare Casini ha annunciato sibillino un progetto che “cambierà il corso della politica italiana”. Le prime voci – cambio del nome al partito a parte, ché ormai appare più un chiodo fisso che altro – raccontano di uno schieramento “liquido”, capace anch’esso di convogliare le massime espressioni della società civile, accompagnato da liste civiche nazionali (e qui, dicevamo, torna in auge l’idea di Italia Futura, il think tank di Montezemolo), ma soprattutto una forza politica 2.0 che trovi nella Rete il primo alleato. L’idea di fondo che accomuna il pensiero di (quasi) tutti i leader è che la politica tradizionale – sondaggi alla mano – abbia concluso il proprio mandato e che il deficit di fiducia degli elettori sia l’attestato di un cambiamento imposto dalle contingenze e dalla storia. Un teorema che, a ben vedere, giustifica allora “l’opera” di Beppe Grillo che con il suo Movimento 5 Stelle è schizzato nelle intenzioni di voto, a leggere le rilevazioni delle precedenti settimane. Di una nuova politica, il campione dell’antipolitica – altro tema particolarmente in voga di questi tempi – è stato il precursore. E ad oggi fa paura, soprattutto in vista del voto più prossimo che è, per l’appunto, quello delle amministrative. Ciò che la politica dovrebbe però intercettare – al netto di astruse proposte come l’uscita dall’euro – è il riavvicinamento alle persone, alle famiglie. Che adesso più che mai stanno risentendo della crisi economica, tra disoccupazione a livelli record, ulteriori sacrifici richiesti, pressione fiscale alle stelle. Fare i conti, in altre parole, con la crisi economica che è la prima ragione di scoraggiamento. Gli scandali politici che hanno riempito le pagine dei giornali e le trattative sulle riforme istituzionali stanno facendo da contorno ad una situazione che potrebbe raggiungere a breve un punto di non ritorno. La politica deve così riacquistare quella sensibilità a favore dei cittadini che è mancata invece al governo dei professori (il caso degli esodati è sotto gli occhi di tutti), giustificati tuttavia dall’assenza di un mandato popolare. Tant’è – a corroborare tale tesi – che la necessità di riforme urgenti sembra avere perso il sex appeal delle prime ore poiché gli effetti non sono a medio termine. E soprattutto perché l’esercito di quei tre milioni di sfiduciati censiti dall’Istat, che il lavoro neppure lo cercano, sono forse l’indicatore più inquietante della crisi non solo economica che stiamo attraversando.
D’altro canto non si potrà avere la pretesa di vivere in una fase di transizione ancora a lungo, per quanto c’è chi lo auspichi anche per il dopo 2013. C’è da costituire al più presto uno spartiacque, che vada ben al di là di un mero passaggio di consegne ai vertici. Non sarà cambiando nome ai partiti che verrà salvato il Paese.

 

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