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L’ultimo Raffaello e la sua scuola

di Stefano Di Rienzo

Attualmente al museo del Prado di Madrid si sta svolgendo una delle mostre più importanti e significative degli ultimi anni dal titolo “L’ultimo Raffaello”, (dal 12 giugno 2012 al 16 settembre 2012) dedicata al lavoro di Raffaello Sanzio (Urbino, 1483 – Roma, 1520) e incentrata sull’ultima fase della sua feconda produzione artistica, che lo consacrò il pittore più influente dell’arte occidentale.
Organizzata in collaborazione con il Museo del Louvre di Parigi che la ospiterà successivamente, l’esposizione del Prado include circa 78 opere presentate in un percorso cronologico che segue l’attività del Maestro di Urbino nei suoi ultimi sette anni, gli anni degli splendori romani che partono dal pontificato di Leone X (1513) fino alla morte dell’artista nel 1520. La mostra cerca di delimitare le frontiere tra le opere fatte da Raffaello e quelle realizzate con la partecipazione dei suoi principali assistenti Giulio Romano (1499-1546) e Gianfrancesco Penni (1496-1528).
L’esposizione parte dal 1513, anno d’inizio del pontificato di Leone X i cosiddetti “anni degli splendori romani” in cui Raffaello stava lavorando nelle stanze vaticane insieme ad altri artisti come Michelangelo (il suo principale rivale) e Sebastiano del Piombo. Con l’arrivo del nuovo Pontefice, Raffaello riceverà più incarichi sia del Papa come dai suoi benefattori, ciò farà crescere in modo esponenziale il numero di assistenti impiegati nella sua bottega (si contarono fino a 50 collaboratori).
Parte della mostra si concentra sulla produzione effettuata dal genio al di fuori delle mura vaticane, opere molto spesso gravate da difficili attribuzioni.
La mostra è divisa in sei sezioni tematiche frutto dello sviluppo pittorico e dell’evoluzione finale di Raffaello attraverso 44 dipinti, 28 disegni, un’opera archeologica ed un’arazzo. Tutto si è messo a confronto con una selezione di opere dei discepoli Giulio Romano e Gianfrancesco Penni, una comparazione inedita che mette a fuoco lo stretto controllo che Raffaello aveva della sua bottega, il modo in cui i due assistenti collaborarono agli ultimi lavori del grande pittore rinascimentale dal quale evidentemente ereditarono il contributo intellettuale ed estetico dopo la sua morte nel 1520.
Nella mostra i disegni vengono frapposti tra i dipinti permettendo così di identificare la mano di Raffaello e aiutando a capire come sono state concepite le opere. Tra le opere più importanti e che approdano per la prima volta sul suolo spagnolo, il sereno ritratto di uno dei suoi amici il “Baldassare Castiglione” (1519) dal Louvre, o “L’Estasi di S. Cecilia” (1515-16) dalla Pinacoteca di Bologna, la composizione armonica e perfetta delle figure di questo dipinto mostra quella destrezza che il Maestro raggiunse solo durante il soggiorno romano. Il museo del Prado mostra per la prima volta dopo il recente restauro uno dei capolavori di Raffaello propri del museo spagnolo, la grande tavola trasferita su tela in epoca napoleonica, “Lo Spasimo di Sicilia” (1515-16) in arrivo a Madrid dai domini spagnoli dell’Italia meridionale.
Le prima sezione tematica inizia con le “pale d’altare”, dipinti che hanno in comune il loro essere stati creati appositamente per essere esportati ai mecenati di Napoli, Palermo o in Francia, in modo che l’opera di Raffaello acquisisse crescente fama fuori Roma. Fanno eccezione due dipinti: “L’Estasi di Santa Cecilia” e “La Madonna del Pesce” (1513-14). La prima è stata commissionata da Elena Buglioli dall’Olio (nobildonna bolognese), opera innovativa perché viene eliminata l’immagine tradizionale della divinità e la mimica devozionale dei personaggi facendo dell’estasi il tema principale della scena, la seconda presa dalle truppe napoleoniche venne trasportata dalla tavola alla tela, è una “sacra conversazione” in cui viene instaurata un’armoniosa unità emotiva in cui lo spettatore non è escluso, anzi sembra quasi invitato a partecipare grazie al taglio stretto della composizione. Tutte le altre opere d’altare mostrano nel Maestro la riformulazione di un nuovo linguaggio drammatico che stava sperimentando sugli affreschi e sugli arazzi, un chiaro esempio è “La Visione di Ezechiele” (1516-17), un dipinto di dimensioni molto piccole presente nella mostra.
La seconda sezione è dedicata alle “Sacre Famiglie” e le “Madonne” di grande formato.
A Roma il repertorio di grandi dipinti della Madonna col Bambino non furono così numerose come la varietà delle Sacre Famiglie, dove in qualche caso sono presenti San Giuseppe (“Sacra Famiglia sotto la Quercia”, 1518 ca.), sant’Anna o san Giovannino (“Madonna del Divino Amore”, 1516 ca.). Restano però molte incertezze sulle date di queste opere e sul grado di partecipazione dei discepoli di Raffaello: il maestro aveva molto lavoro e non si sa bene quando li delegasse. Un esempio sarebbe “La Perla” (1518-20, conservata al Prado e chiamata così da Filippo IV di Spagna perché era “La Perla” delle proprie collezioni), possibilmente disegnata e dipinta da Raffaello ma con la collaborazione di Giulio Romano.
La terza sezione le “Sacre Famiglie” e le “Madonne” di piccolo formato. Evidentemente il Maestro non aveva tempo per opere per definizione “poco importanti”, diventando più facile individuare i contributi individuali dei discepoli. Questa sezione inizia con le opere piccole dipinte dal giovane Giulio Romano in totale autonomia mentre Raffaello era ancora vivo, come “La Madonnina” (1515-16) e prosegue con la produzione di Penni, “Sacra Famiglia con San Giovannino e Santa Caterina” (1520-22 ca.). Guardando queste opere, è anche possibile apprezzare il contributo dei due allievi alle opere di Raffaello (di dimensioni più grandi) presenti nella mostra.
La quarta sezione è dedicata a Giulio Romano. Le opere di questa sezione sono rappresentative dell’evoluzione di Giulio al di fuori della tutela di Raffaello come “La Deesis e i Santi Paolo e Caterina d’Alessandria”, (1520 ca.) che fu commissionata probabilmente a Raffaello, ma la realizzazione del dipinto è opera integrale di Giulio. Il grande cartone della “Lapidazione di Santo Stefano” (1520-21), forse anche qui c’è stato il lavoro precedente di Raffaello, ma le modifiche fatte dal discepolo al primo disegno del Maestro, fanno di questo dipinto una narrazione storica.
La quinta sezione è dedicata ai ritratti “ufficiali” e quelli che il grande Urbinate aveva fatto con i suoi amici. Tra i primi: Cardinali, il Papa ed altri personaggi importanti tante volte prodotti dal suo laboratorio, a indicare che forse per il Maestro Urbinate non erano motivo speciale di soddisfazione farsi ritrarre insieme a personaggi ufficiali, anche se poi la sua influenza sul ritratto formale del Cinquecento fu tutt’altro che trascurabile, come dimostrato da un dipinto a olio su tavola in cui ritrae “Giuliano de’ Medici” (1515). Ciò non esclude che nei ritratti degli amici, Raffaello abbia dato di più. Quasi tutti i ritratti sono stati fatti su tela, sfruttando al massimo le possibilità di questo supporto. E guarda caso, non si trova traccia della mano dei suoi discepoli. “L’Autoritratto con un Amico” (1519) fu probabilmente l’ultimo ritratto di Raffaello e può considerarsi anche come un testamento artistico.
La sesta e ultima sezione della mostra, è dislocata nella sala 49 del palazzo Villanueva, sempre nel Museo del Prado. Vi si trova una copia della “Trasfigurazione” di Giulio Romano che arrivò in Spagna nel secolo XVII, insieme alla replica ci sono tredici disegni di Raffaello e dello stesso Giulio Romano eseguiti durante la pianificazione dell’originale, probabilmente usati per fare la copia. La Trasfigurazione include due episodi consecutivi del Vangelo: la Trasfigurazione di Cristo su una collinetta con gli apostoli (Pietro, Giovanni e Giacomo) prostrati per la sfolgorante manifestazione divina di Gesù affiancati dalle manifestazioni sovrannaturali di Mosè ed Elia e nella parte inferiore i restanti apostoli che si incontrano con il fanciullo ossesso con gli occhi sbiechi e circondato da parenti che sarà miracolosamente guarito da Gesù al ritorno dal Monte Tabor. Tale rappresentazione non era stata fatta da nessun altro artista prima d’ora. L’opera originale della “Trasfigurazione” (1518-20) incompiuta e stata realizzata dal Maestro ed è l’ultima sua opera, fu esposta nella sua camera ardente, commissionata nel 1516 dal cardinale Giulio de Medici dando vita ad una sorta di competizione tra i due grandi pittori attivi a Roma: Raffaello e Sebastiano del Piombo (allievo di Michelangelo) ai quali chiese una pala ciascuno da destinare alla Cattedrale di Narbonne, la sua sede vescovile.
In occasione della mostra il 26 e il 27 Giugno nella sede del Museo del Prado ci sarà un congresso internazionale con i più grandi specialisti internazionali per studiare in profondità gli ultimi anni di Raffaello attraverso le sue opere e i suoi rapporti con i suoi discepoli.

 

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