Chi vive in condizione di povertà assoluta in Italia
Nel 2011, in Italia, 1 milione e 297 mila famiglie (il 5,2% delle famiglie residenti) risultano in condizione di povertà assoluta, per un totale di 3 milioni e 415 mila individui (il 5,7% dell’intera popolazione). La povertà assoluta risulta sostanzialmente stabile rispetto al 2010, sia a livello nazionale sia nelle singole ripartizioni geografiche.
Si evidenziano, tuttavia, segnali di peggioramento, che confermano i risultati già commentati per la povertà relativa. Aumenta l’incidenza di povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento non occupata (dal 5,9% al 6,6%), in particolare se è ritirata dal lavoro (dal 4,7% al 5,4%) e, in assenza di redditi da lavoro, almeno un componente è alla ricerca di occupazione (dall’8,5% al 16,5%). Un peggioramento si osserva anche tra le famiglie con a capo una persona con basso livello professionale (operaio, dal 6,4% al 7,5%) e con basso titolo di studio (con al più la licenza elementare dall’8,3% al 9,4%, con la licenza di scuola media inferiore dal 5,1% al 6,2%). Infine, peggiora la condizione delle coppie con un figlio (dal 2,9% al 4%), in particolare se minore (dal 3,9% al 5,7%).
Si conferma lo svantaggio delle famiglie più ampie: l’incidenza è pari al 12,3% se i componenti sono almeno cinque e al 10,4% tra le coppie con tre o più figli e tra le famiglie con membri aggregati. Analogo svantaggio emerge per le famiglie con almeno un anziano (6%, quota che sale al 6,8% se vive solo) e per le famiglie monogenitore (5,8%).
La povertà assoluta risulta elevata tra le famiglie con persona di riferimento avente al massimo la licenza elementare, per le quali l’incidenza (9,4%) è quasi cinque volte superiore a quella delle famiglie in cui la persona di riferimento possiede almeno un diploma di scuola media superiore (2%).
Difficili sono le situazioni associate alla mancanza di occupazione o a bassi profili occupazionali: tra le famiglie con a capo una persona occupata, le condizioni peggiori si osservano tra gli operai o assimilati (7,5%), mentre i valori più elevati si rilevano se la persona di riferimento è in cerca di occupazione (15,5%) e nelle famiglie in cui non sono presenti occupati né ritirati dal lavoro (22,3%).
(fonte Istat)