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La sfida/3

di Antonio Caputo

Proseguendo nel percorso iniziato circa un mese fa, completiamo il discorso sui sondaggi, riallacciandolo alla classificazione degli Stati. Dicevamo la scorsa volta come i sondaggi americani vadano letti prestando molta attenzione alla metodologia, perché i numeri, gli stessi numeri, possono avere, a volte, significati diversi, a seconda del campione di intervistati.
Lasciando da parte quelli sulla generalità dei maggiorenni, cioè di coloro che astrattamente avrebbero diritto al voto (ma che, se non registrati, non possono esercitare tale diritto), e prestando attenzione alle altre due categorie di sondaggi (quelli sui “registered voters”, ossia su tutti coloro che sono iscritti alle liste elettorali, e quelli sui “likely voters”, ossia su coloro che con ogni probabilità a votare ci andranno effettivamente) si osserva, da circa tre mesi a questa parte, una sostanziale stabilità nelle preferenze (virtuali) dell’elettorato statunitense.
Tra gli elettori registrati, Obama fa segnare un leggero vantaggio (in media di 4-5 punti), vantaggio che sparisce nei sondaggi effettuati tra gli elettori che a votare ci andranno effettivamente, presso i quali si registra una situazione di sostanziale parità: un punto di vantaggio per l’uno o per l’altro, quando il margine di errore è di circa 4 punti, e per di più in un Paese sterminato e con al suo interno differenze enormi, dal punto di vista etnico, sociologico, economico, valoriale e religioso, non sta ad indicare altro se non una (beninteso, virtuale) parità tra i due candidati.
La differenza di risultati tra le due categorie di sondaggi, già chiarita nel precedente appuntamento con questa rubrica (è più numeroso tra le minoranze etniche il numero di coloro che disertano le urne, e, tendendo le minoranze etniche a votare in larga misura per i Democratici, ecco spiegata la differenza), è quella fisiologica.
Per avvicinarci ad un risultato (virtuale) il più vicino possibile alla realtà, in vista della classificazione degli Stati, come più o meno probabili per un candidato o per l’altro, opero una correzione nella media di tali sondaggi, nel senso di limare leggermente al ribasso per i Democratici (e, di conseguenza, leggermente al rialzo per i Repubblicani) quelli sui “registered voters”, lasciando immutati quelli sui “likely voters”; a questa media, effettuata Stato per Stato, apporto una ulteriore correzione, che tenga conto del trend nazionale dei sondaggi.
Se il dato nazionale è quello di un sostanziale pareggio, sarebbe piuttosto anomalo un sondaggio che attribuisca un vantaggio di (poniamo) 10 punti per l’uno o per l’altro in Florida o in Ohio, due Stati il cui risultato si avvicina molto alla media nazionale (moltissimo nel caso dell’Ohio; leggerissimamente più repubblicana è la Florida); e così in Colorado, in Iowa, o in Nevada.
Bene, con queste premesse metodologiche, vediamo la situazione al momento attuale: dicevamo che non si registrano particolari variazioni da Pasqua in poi, ossia dal momento in cui Romney, ritiratosi Santorum, ha avuto la certezza della nomination. E tutto questo, nonostante nei tre mesi trascorsi da quel momento, siano accaduti numerosi avvenimenti, nessuno dei quali però, evidentemente, è riuscito a smuovere le intenzioni di voto degli elettori: la conquista ufficiale della nomination repubblicana da parte di Romney; il referendum sul governatore del Wisconsin, che ha visto la conferma dell’uscente repubblicano con una sberla clamorosa per i sindacati; la sentenza della Corte Suprema, che ha validato la riforma sanitaria di Obama, cosa che avrebbe fatto prevedere un rialzo delle quotazioni del presidente uscente; i dati, non positivi, su economia e disoccupazione; le polemiche sui redditi di Romney, e sui suoi possibili patrimoni nei paradisi fiscali. La campagna elettorale evidentemente non è ancora entrata nel vivo (lo farà a partire dalle due convention, che si terranno tra fine agosto, e i primi di settembre); fino ad allora, complice il clima vacanziero dell’estate, non si prevedono variazioni clamorose nei sondaggi.

Ed ecco la situazione Stato per Stato

Blindati Obama: Maine/1° distretto (1); Vermont (3); Massachusetts (11); New York (29); Delaware (3); Maryland (10); District of Columbia (3); Illinois (20); California (55); Hawaii (4). Totale: 139.

Molto probabili Obama: Maine/Stato (2); Rhode Island (4); Connecticut (7); New Jersey (14); Minnesota (10); New Mexico (5); Washington (12). Totale: 54.

Vantaggio vulnerabile Obama: Maine/2° distretto (1); Pennsylvania (20); Wisconsin (10); Oregon (7). Totale: 38.

Completamente incerti: New Hampshire (4); Ohio (18); Michigan (16); Iowa (6); Colorado (9); Nevada (6); Virginia (13); Florida (29). Totale: 101.

Vantaggio vulnerabile Romney: Missouri (10); Nebraska/2° distretto (1); North Carolina (15). Totale: 26.

Molto probabili Romney: Indiana (11); Montana (3); Arizona (11); South Carolina (9); Georgia (16). Totale: 50.

Blindati Romney: West Virginia (5); Kansas (6); Nebraska/Stato (2); Nebraska/1° distretto (1); Nebraska/3° distretto (1); South Dakota (3); North Dakota (3); Idaho (4); Wyoming (3); Utah (6); Alaska (3); Texas (38); Oklahoma (7); Arkansas (6); Louisiana (8); Mississippi (6); Alabama (9); Tennessee (11); Kentucky (8). Totale: 130.

 

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