La strage di Denver, tra armi e banalità | T-Mag | il magazine di Tecnè

La strage di Denver, tra armi e banalità

di Fabio Germani

Il 22 luglio del 2011 questo giornale, che da pochi mesi aveva iniziato a muovere i suoi primi passi, raccontò, cercando di analizzare anche nei giorni a seguire tutte le variabili del caso, le stragi di Oslo e Utoya, in Norvegia, ad opera di Anders Breivik. Era un venerdì. A distanza di un anno, e sempre di venerdì, il mondo è a conoscenza dell’ennesima strage, avvenuta stavolta a Denver, in Colorado. Chiariamo subito, a scanso di equivoci, che non vi è da parte nostra l’intenzione di comparare i due tristi eventi. Se non per alcune fattispecie.
A Denver è accaduto che un giovane di 24 anni, tale James Holmes, si sia intrufolato all’interno di una sala del 16th Century Movie Theater alla prima di Dark Knight Rises, terzo capitolo della saga di Batman firmata Christopher Nolan. Il ragazzo ha così aperto il fuoco (era in possesso di due pistole, un fucile e una maschera antigas) provocando la morte di 12 persone e 50 feriti. Holmes è stato arrestato ed è sotto interrogatorio, ma non si è ancora a conoscenza del movente. I primi resoconti riferivano di un ragazzo travestito à la Bane (l’antagonista di Batman in foto). Ma a dare maggiore risalto a questa eventualità sono stati i media nostrani più che quelli statunitensi. Un anno fa, a poche ore dalla strage di Utoya, di Breivik sapevamo già molto: tra i suoi film preferiti Il Gladiatore e 300, una grande passione per i videogames sparatutto. Come se questi elementi, da soli, fossero sufficienti per tracciare il profilo di una psicologia delirante, resa successivamente evidente da fattori di altra natura (eversione, estremismo, razzismo).
Non sappiamo cosa abbia spinto Holmes a un tale gesto. Ma sappiamo, perché consapevoli del passato, che non dobbiamo scadere nella banalità del racconto. Negli Stati Uniti è vecchio come il cucco il dibattito sulle armi, tema su cui è intervenuto in queste ore convulse il sindaco di New York, Mike Bloomberg, chiedendo ai pretendenti alla Casa Bianca di spiegare le proprie intenzioni al riguardo. Dell’uso delle armi negli Stati Uniti si è tornato a parlare anche dopo il caso Travyon Martin. In America i diritti alla legittima difesa e a portare armi sono sanciti in Costituzione. Diversi studi hanno dimostrato che non vi è un’esatta correlazione tra la corsa all’acquisto di armi e la reale percezione del pericolo. Ad esempio tra il 1974 e il 1994 fu rilevata un’espansione del mercato delle armi rispetto ai crimini, che nel frattempo risultavano in aumento di poco meno del 10%.Tuttavia le ricerche servono a poco in quanto la legislazione in materia può variare di Stato in Stato e ciò implica numeri e dati non univoci. Né un paragone con gli altri Paesi sarebbe esaustivo poiché a cambiare, in quest’ultimo caso, può essere la nozione di arma.
Certo, qualsiasi fosse l’argomento su cui dirottare l’attenzione risulterebbe al momento un mero esercizio di scuola che non una reale consapevolezza di quanto accaduto. Ma proprio perché la riflessione è complessa, così come complesso è modellare una società, derubricare la cronaca di Denver ad una critica al cinema violento o ai danni – soggettivi – provocati dai videogames sarebbe quantomeno stucchevole oltre che fuorviante.

 

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