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Lombardo, dall’autonomia al crack della Sicilia

di Antonio Caputo

In principio (1997) fu l’ex deputato forzista Raffaele Costa, col suo libro “L’Italia degli sprechi”; poi numerose inchieste di vari giornali; quindi un altro prezioso volume, “Il costo della democrazia” (2005), degli ex senatori DS Cesare Salvi e Massimo Villone; seguiti dal best seller, “La Casta”, di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, del 2007: un fiume di pubblicazioni insomma, che da tempo immemore denunciano come, tra i numerosi sperperi italici, meriti una menzione speciale proprio la Sicilia.
I mali della Regione siciliana non nascono, dunque, con l’elezione a Presidente di Raffaele Lombardo; altrettanto vero però è che l’attuale Governatore non solo nulla abbia fatto per correggere la rotta, ma ci abbia aggiunto del suo, appesantendo ulteriormente le cose.
Nato democristiano, nella corrente di sinistra (la stessa di Totò Cuffaro, altro personaggio cui sono da imputare molte delle colpe dell’attuale dissesto) dell’ex ministro Mannino, di cui era referente a Catania, Lombardo, accusato ma poi scagionato all’epoca di Tangentopoli, approda alla Seconda Repubblica nelle file del CCD di Casini, dove viene eletto eurodeputato nel 1999. Conquistata nel 2000 dal centrodestra Catania, con l’eurodeputato (e medico di Berlusconi) Umberto Scapagnini, Lombardo (allievo di Scapagnini all’Università) ne diviene vicesindaco, per approdare nel 2003 alla guida della Provincia etnea. Nella stagione del governo Berlusconi 2001/2006, il Cav soffre il logoramento dall’Udc di Follini, partito che chiede, a ogni piè sospinto, verifiche e rimpasti. Berlusconi che non ne può più, cerca di nominare esponenti Udc con forte radicamento locale, tale da permettere loro (arrivati al governo) di emanciparsi dal partito, per costruire un rapporto direttamente col Cav e lasciando l’Udc in “braghe di tela”.
Sarà così con Baccini (titolare di un buon pacchetto di voti nel Lazio), e, dato il ruolo di Cuffaro, (governatore, dunque incompatibile con la carica di ministro), sarebbe stato così con Lombardo (segretario regionale del partito) ministro in pectore nelle verifiche di governo tra il 2004 e il 2005. Ma Casini e Follini, fiutata l’aria, e temendo che il Cav sfilasse loro di mano la “cassaforte” siciliana, mettono il veto. L’allora presidente della Provincia di Catania non ci vede più e fonda il Movimento per l’Autonomia, che nella terribile (per il Centrodestra) primavera 2005, risulta decisivo (ben quattro liste che valgono il 20% dei voti) per l’inattesa conferma di Scapagnini a Catania, svuotando l’UdC in Sicilia orientale; peraltro, nonostante il divorzio, resta il buon rapporto tra Lombardo e Cuffaro.
Dopo una girandola di ipotesi in vista delle politiche 2006 (lista sganciata dai due Poli; accordo con l’Udeur – dunque col centrosinistra -; alleanza con la Dc di Rotondi), Lombardo stringe con la Lega un accordo che prevede la lista comune, con candidati divisi geograficamente: gli uomini di Bossi al centronord, quelli di Lombardo da Roma in giù.
Altro giro, altra corsa: nell’estate 2007, dopo la “guerra” con Forza Italia, e fallito l’abboccamento col centrosinistra, stringe un patto di ferro con l’Udc di Cuffaro. Azzoppato l’allora governatore per una condanna giudiziaria (gennaio 2008), si arriva, in concomitanza con le elezioni nazionali (causate dalla caduta di Prodi), alle regionali anticipate in Sicilia, dove Lombardo, forte del suo rapporto con Fini (il quale entrato ob torto collo nel Pdl, cerca di allargare la sua rete di alleanze per evitare l’accerchiamento berlusconiano) e con Cuffaro, si lancia nella corsa a governatore: trionferà ad aprile, con una coalizione che va dal suo MpA all’Ud fino al Pdl, con cui stringerà accordo anche per le politiche.
I problemi però esplodono presto, e la maggioranza entra in fibrillazione: MpA, finiani e forzisti vicini a Miccichè da un lato; Udc (guidata da Cuffaro) e forzisti vicini a Schifani ed Alfano, dall’altra. La prima giunta Lombardo entra in crisi ad un anno dalla sua formazione: dal rimpasto viene fatta fuori l’Udc; nell’autunno 2009 però, la spaccatura nel Pdl isolano si certifica: finiani e miccihiani fondano il Pdl/Sicilia, il resto del partito vota contro il documento di bilancio e passa all’opposizione. Natale 2009: nasce il Lombardo ter, con MpA, Pdl/Sicilia e Api di Rutelli e una posizione attendista del Pd; altro giro altra corsa nell’autunno 2010: rottura anche con Miccichè, scissione nell’Udc (i cuffariani fondano i Popolari per l’Italia di Domani, e restano all’opposizione; il resto del partito torna ad appoggiare Lombardo), ed il governatore forma il suo quarto governo con esponenti tecnici, di area MpA, Udc, Api, Fli e Pd. Dopo un anno però, anche tale formula mostra la corda: l’Udc esce dalla coalizione e nel Pd (mai compatto nel suo appoggio a Lombardo) crescono i mal di pancia, soprattutto a seguito del coinvolgimento del governatore in numerosi scandali, tra cui la richiesta di rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa.
Le elezioni amministrative 2012 in Sicilia vanno male per la coalizione Pd-Mpa-Api-Fli: delle tre città principali, nessuna esprime un sindaco di questo schieramento. A Palermo trionfa Leoluca Orlando, autocandidatosi in polemica con l’esito delle primarie del centrosinistra che avevano visto la vittoria di Fabrizio Ferrandelli (fautore dell’appoggio a Lombardo) su Rita Borsellino, contrarissima alla collaborazione del Pd col governatore: Orlando, uno dei maggiori oppositori di Lombardo, travolge Ferrandelli, mentre il candidato di Mpa-Fli-Api, Aricò, si ferma all’8%. Ad Agrigento conferma a valanga del sindaco uscente Zambuto dell’Udc, al ballottaggio contro Pennica del Pdl; fuori gioco sin dal primo turno la candidata dell’alleanza che ricalcava quella regionale (Pd-Mpa-Fli-Api), finiani e lombardiani, contro l’Udc, si schierano col Pdl, per venirne travolti insieme al ballottaggio. Trapani, infine: un Terzo Polo allargato a Miccichè, alleanza in testa al primo turno, subisce al ballottaggio il sorpasso anche da un Pdl in debacle nazionale. Risultato: Palermo all’Idv; Agrigento all’Udc; Trapani al Pdl; tutti partiti all’opposizione a livello regionale e sconfitta politica su tutta la linea per Lombardo, che, piegato, annuncia le dimissioni entro fine luglio, e il voto anticipato ad ottobre. Non manca, nel frattempo, l’ennesimo ribaltone, condito dall’ennesimo strappo: rottura anche col Pd (che ha presentato una mozione di sfiducia), e governo di minoranza con Fli e Api.
Ad ogni “giro di walzer” il governatore prometteva riforme per far ripartire la Sicilia, ed invece ogni volta si andava avanti come sempre nell’isola: nessun taglio alle clientele e agli sprechi, sostanziale inazione di governo, diventato un semplice accordo di potere, ed un “nominificio” clientelare, al cui interno spicca la nomina, recentissima, a revisore dei conti di un ex assessore, arrestato per stalking.
La situazione precipita negli ultimi giorni: la Commissione Ue revoca 600 milioni di finanziamento per gravi carenze nei sistemi di controllo riscontrate dagli inviati Ue in Sicilia nel 2011; viene evocata l’ipotesi commissariamento nazionale della Regione; si moltiplicano le campagne di stampa sugli sprechi isolani; il presidente degli industriali siciliani, Ivan Lo Bello, attacca sul rischio default della Regione; fino a che il premier Monti chiede a Lombardo conferma delle proprie dimissioni.
In tutto ciò il governatore non fa che evocare complotti o prodursi in dichiarazioni surreali: lo fece all’epoca in cui Repubblica pubblicò la notizia del suo coinvolgimento nell’indagine per mafia della Procura di Catania (2010). Allora il Governatore accusò: “mi si vuole delegittimare perché mi sono messo contro Berlusconi” (ipotesi in sé non del tutto inverosimile, se non fosse che Repubblica non si può certo definire oragno di stampa del Cav). L’altra settimana, nel confermare le proprie imminenti dimissioni, dichiarò di volersi ritirare in casa a “coltivare marijuana”. Ora parte all’attacco, lancia in resta, contro Lo Bello, definito “pseudo imprenditore che vorrebbe farmi licenziare 50000 persone: piuttosto, vada a morire ammazzato!”; il che detto nei confronti di un uomo (Lo Bello), minacciato di morte dalla mafia, e nel ventesimo anniversario della strage di via D’Amelio, è quanto meno inopportuno.
Sul declino politico e personale di Lombardo è da aggiungere solo una cosa: l’indagine nei suoi confronti per concorso esterno in associazione mafiosa non convince (come non convince la condanna per favoreggiamento, con aggravante mafiosa di Cuffaro). Si tratta di due politici la cui azione di governo ha contribuito ad aggravare la situazione della Sicilia, ma non ritengo si tratti di due mafiosi: Cuffaro e Lombardo non hanno certo bisogno dei voti della mafia per essere eletti, perché dispongono di una rete ben oleata di meccanismi clientelari, che consegna loro una barca di consensi, senza che Cosa Nostra possa influire più di tanto. Questa, però, non è un’onorificienza per i due governatori: il meccanismo clientelare, insieme alla mafia, sono due facce di una stessa medaglia, quella del malgoverno, che ha portato la Sicilia sull’orlo dell’odierna bancarotta.

 

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