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Dove aumenta la disoccupazione

Ormai suona come una litania, ma i dati confermano ulteriormente il trend: il tasso di disoccupazione è più alto al Sud che non al Nord. Tanto per rendere l’idea: su 70 province nelle quali il calo dell’occupazione dipendente andrà al di sotto della media nazionale (-1,1%), 35 sono del Mezzogiorno, in particolare Enna, Ragusa e Siracusa (che superano o si aggirano intorno al -3%) fino ad Avellino (-1,3%). Fa eccezione Napoli. Il capoluogo campano, infatti, non dovrebbe scendere oltre il -0,8%. In altri termini: circa un terzo dei 130 mila posti di lavoro che andranno persi quest’anno riguarderanno le Regioni del Sud. La situazione viene riferita dal Sistema informativo Excelsior di Unioncamere e ministero del Lavoro, l’indagine che raccoglie le previsioni di assunzione delle imprese dell’industria e dei servizi.
In generale sono poco più di 631 mila le assunzioni di dipendenti che le imprese prevedono di stipulare nel 2012, pari al 25% in meno rispetto al 2011.
Nella classifica stilata da Unioncamere le due province laziali di Viterbo e Latina avranno una riduzione dell’occupazione del -2,5% e un saldo negativo atteso rispettivamente di -890 e -1.980 dipendenti, quando la media regionale del Lazio si attesta sul -1%.
Anche al Nord viene prevista una contrazione, seppur lieve in confronto a quella del Meridione. Bolzano è la provincia in cui l’occupazione dipendente nel 2012 subirà una flessione meno evidente (-0,3% il tasso, pari a una riduzione di 440 unità). Seguono Piacenza (-0,4% e -230), Padova (-0,4% e -950), Lodi (-0,4% e -160). Difficoltà vengono riscontrate invece nelle province con grandi aree urbane. A Torino, ad esempio, nel corso del 2012, potrebbero ridursi i posti di lavoro dipendente di oltre 7.600 unità, a Roma di oltre 6.600, a Milano di poco più di 5.500, a Firenze di quasi 3.900 e a Bari di 3.800.
Da quanto emerge dallo studio, come registrato nel periodo 2008-2009, le uscite per “altri motivi”, che includono anche i licenziamenti, rappresentano oltre un terzo del totale. Ciò significa che le scadenze di contratto a cui non seguono i rinnovi sono le principali cause di una tale débacle. I lavoratori a tempo determinato sono quelli che risentono maggiormente della crisi.
Tuttavia c’è da rilevare altro, fa notare Unioncamere. Alla base del rallentamento delle entrate può esservi l’attesa per l’esito dell’impatto della riforma del mercato del lavoro per cui al momento c’è ancora incertezza. Questa eventualità sarebbe confermata anche dalla contemporanea riduzione delle uscite attese (-18%) che si fermano a 762 mila, a rappresentare una certa staticità dell’occupazione nelle imprese.

 

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