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L’asse Berlino-Parigi e l’Ue che verrà

I mugugni e gli attacchi devono essere interrotti a detta di Angela Merkel che in queste ore, come viene fatto notare da più parti, sembra avere ritrovato la piena sintonia con la Francia, sebbene l’attuale interprete di questa fase non sia più “l’alleato” Nicolas Sarkozy. È presto, ancora, per stabilire se sia in dirittura d’arrivo un Merkande (facendo il verso a quello che fu a lungo battezzato Merkozy), ma di certo, stando ai piani della cancelliera tedesca, l’asse Berlino-Parigi va rinsaldato.
L’incontro tra i due di pochi giorni fa è servito per confermare come sia indispensabile la permanenza della Grecia nella zona euro, a patto che Atene garantisca gli impegni presi e il varo di riforme già promesse in passato. Maggiore peso hanno assunto le dichiarazioni rilasciate sempre dalla Merkel alla tv di Stato ADR in cui ha invitato i “falchi” a pesare le parole sulla Grecia a fini elettorali. Nella testa di Angela Merkel c’è dell’altro, però. E tutto ruota attorno all’indiscrezione del Der Spiegel secondo cui l’intenzione è di convocare per dicembre un vertice dei capi di Stato e di governo per definire “una nuova base legale dell’Ue” e avviare le procedure per cambiare i trattati nel 2013.
L’idea è nota: per una totale realizzazione europea è necessaria un’unione politica (che insieme all’esistenza di un bilancio federale è il preambolo all’istituzione di un’unione fiscale). Senza della quale, è il pensiero più o meno condiviso, la moneta unica è destinata a fallire. Ciò delineerebbe una più evidente spartizione dei compiti tra Bruxelles e Francoforte, nella prospettiva di una Bce autonoma. E a tale proposito non sono mancate le frizioni con la Bundesbank particolarmente critica rispetto al piano di acquisti dei bond presentato dalla Banca centrale europea a inizio mese e ora in fase di limatura. La (eventuale) nuova missione della Bce rientra perciò in un percorso insidioso che molto potrà dire sul futuro dell’Unione europea. Delle due, l’una: o un rinvigorimento quanto mai auspicabile (un processo che a tappe conduca verso gli Stati uniti d’Europa, forse una chimera date le contraddizioni emerse negli ultimi tempi) o, al contrario, uno sfaldamento che avrebbe come ripercussione immediata l’aggravarsi della crisi economica. Nonostante sul tavolo vi sia la peggiore delle ipotesi, anche la prima opzione non convince molti nel timore che un’unione politica rappresenti semplicemente una eccessiva ingerenza di Bruxelles (e nel timore, soprattutto, che la Germania possa pretendere per sé un rinnovato peso politico).
Ma su un punto tutti convergono: per uscire dalla crisi è opportuno che l’Ue non sia più un’unione a geometria variabile.

F. G.

 

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