E alla fine arriva “L’Huffington Post”
Nel 2008, in piena campagna elettorale statunitense, capitava che i media nostrani citassero l’Huffington Post definendolo il più influente blog d’America. Ciò accadde in un’occasione in particolare. La blogger Mayhill Fowler riportò sul sito le parole di Obama, origliate durante un evento di raccolta fondi, sulla disperazione giustificata di tanti cittadini della Pennsylvania (aneddoto che abbiamo ricordato su queste pagine alcuni giorni fa). La notizia fece scalpore, sia per le dichiarazioni del futuro inquilino della Casa Bianca sia per la fonte che, inevitabilmente, riaccese il dibattito sul cosiddetto citizen journalism.
L’Huffington Post, ma a questo punto è meglio dire The Huffington Post, fu fondato nel 2005 dalla giornalista greca naturalizzata statunitense Arianna Huffington (insieme a Kenneth Lerer e a Jonah Peretti). In pochi anni da “blog più influente d’America” si è trasformato in un vero e proprio prodotto editoriale, con redazioni dislocate in diverse parti del Paese. Risale ad inizio 2011 l’acquisizione dell’Huffington Post per oltre 300 milioni di dollari da parte del colosso Aol e a partire dallo stesso anno il sito è approdato anche in Europa: Gran Bretagna, Francia, Spagna e adesso Italia, dopo che a maggio 2012 è stata siglata la partnership con il Gruppo Espresso.
In molti hanno criticato il modo di fare informazione dell’Huffington Post. Di fatto il sito è paragonabile ad una piattaforma ospitante centinaia di blog i cui autori, però, scrivono senza essere pagati. I compensi spettano ai giornalisti che compongono le redazioni, tutto il resto è lavoro da considerare a titolo gratuito.
Il sistema è stato in qualche modo introdotto da Arianna Huffington, ma non si può certo dire che negli anni non vi sia stato chi non abbia tentato di emularlo. Chi oggi stigmatizza il lavoro gratis all’interno dell’HuffPost (ci scrivono Giulio Tremonti e Daniela Santanchè, tra gli altri), non può allora non citare i tanti quotidiani online che hanno avviato la medesima pratica. Una volta Arianna Huffington ha sostenuto che la visibilità è la moneta di scambio per un blogger che scrive sul suo sito. Mettiamola così, per farla breve: è un modello di business che può piacere o meno, ma funziona.
A dirigere l’HuffPost è Lucia Annunziata. Qualcuno ha avuto da ridire anche su questo. Chi si aspettava un volto più giovane è rimasto deluso, ma è sufficiente andare a leggere i nomi delle direttrici delle versioni francese e spagnola per comprendere i motivi della scelta.
È presto per dire quale sarà l’impatto sul sistema dei media. Anche se c’è da osservare che se ci si lambicca in questo caso più che in altri è soltanto perché dietro c’è un impero editoriale non indifferente. Di quotidiani online fatti bene, in Italia, ce ne sono già diversi, ma mai prima d’ora ci si era troppo preoccupati di azzardare paragoni. Di sicuro c’è che l’Huffington Post Italia sarà un ibrido. Avrà cioè un appeal “internazionale” – come la sua origine del resto suggerisce – e allo stesso tempo il taglio tipico della nostra tradizione. L’intervista a Silvio Berlusconi, al primo giorno di pubblicazioni, ne è un esempio lampante. Per la serie: facciamo cose nuove con la roba vecchia.
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