Usa 2012. A Mitt Romney il primo dibattito presidenziale | T-Mag | il magazine di Tecnè

Usa 2012. A Mitt Romney il primo dibattito presidenziale

di Antonio Caputo

La campagna elettorale americana vive anche di consuetudini “rituali”: inizia l’anno precedente le elezioni, con le dichiarazioni di interesse dei potenziali candidati, i quali aprono la raccolta fondi e si affrontano (dall’estate dell’anno precedente il voto) in dibattiti tv con gli altri sfidanti interni al partito; prosegue con la lunga corsa di primarie e caucuses, tra gennaio e giugno; in estate si tengono le Convention, nei decenni trasformatesi da luoghi di votazione su candidati e programmi, a poco più che passerelle per dare, in quei giorni, ribalta mediatica al candidato e lanciarlo nella corsa; si passa, infine, (mentre, ben inteso, la campagna elettorale prosegue con spot e interviste in tv, in radio, sulla stampa, e, ormai da anni, su internet, oltre ai tradizionali comizi) ai duelli tv tra i candidati democratico e repubblicano. Tre gli appuntamenti, cui si aggiunge un confronto tra candidati vice: il primo si tiene circa un mese prima delle elezioni, l’ultimo a due settimane dal voto.
Quest’anno il primo dibattito si è tenuto, la scorsa notte, nella sede dell’Università di Denver, (capitale, e città più importante del Colorado, Stato in bilico); moderatore della serata, durata un’ora e mezza, Jim Lehrer, 78enne anchor-man della Pbs (la tv pubblica americana), vero veterano dei confronti tv, il quale è apprezzato da ambo le parti per la sua imparzialità: da anni infatti non vota, e ciò proprio per mantenersi equidistante. Temi dell’incontro, economia e politica interna. Il moderatore esordiva con una domanda sull’argomento, rivolta ad entrambi i contendenti, i quali avevano due minuti a testa per rispondere; di lì poi un paio di repliche e contro repliche dei candidati su quanto detto dall’avversario, fino alla successiva domanda del conduttore. L’ordine di risposta alle domande era alternato: alla prima domanda ha risposto per primo Obama, seguito da Romney; alla seconda Romney, seguito da Obama e così via. Alla fine, appello conclusivo agli elettori, anche qui con esordio del presidente uscente e ultima parola allo sfidante repubblicano.
Nel duello, anche senza aspettare l’esito dei sondaggi a caldo, era visibile la diversa espressione dei candidati: Obama è sembrato teso, e non per l’emozione (ne ha affrontati – e vinti – tanti di dibattiti), ma perché, dopo anni difficili, aveva l’ingrato compito di affrontare la sfida come presidente in carica, ossia come chi dopo aver fatto sognare l’elettorato nel 2008, non può dispensare sorrisi e promesse, ma deve difendere le proprie scelte, non tutte popolari; Romney, al contrario, è apparso padrone della situazione, sorridente, di chi offre sicurezza al pubblico, andando più volte all’attacco.
Punto saliente del duello, dicevamo, l’economia. Romney ha promesso la riduzione fiscale come stimolo alla crescita, ripetendo come un ritornello, “voglio che il ceto medio paghi meno tasse e che piccole e medie imprese paghino meno tasse; così possono assumere: e con più persone che lavorano rimetteremo i conti a posto senza aumentare, anzi, riducendo le tasse”. Il suo insistere sul ceto medio voleva essere un rimedio alla clamorosa gaffe resa nota qualche settimana fa, grazie ad un video “rubato” di una cena elettorale, in cui il candidato repubblicano dichiarava “quel 47% che vota Obama non paga le tasse e vive alle spalle degli altri: di loro non mi importa”; insomma, l’aveva fatta davvero grossa: miglior spot pro Obama non poteva esserci. Il presidente ha replicato: “Dove Romney troverà i soldi per una riduzione fiscale di 5000 miliardi di dollari, e per un aumento delle spese militari? Non è possibile”. Obama ha più volte toccato il tasto della enormità della cifra di 5000 miliardi, additando come sostanzialmente irrealistiche le promesse del miliardario mormone, accusato di voler ridurre le tasse ai ricchi; al che il repubblicano ha risposto: “Non è vero: non ho mai detto che ridurrò le tasse di 5000 miliardi; lo farò per il ceto medio, non per chi ha redditi elevati ed è inutile che voi”, rivolto ai democratici, “ripetiate il contrario, anche se vi porta voti: non è vero!”. “Io”, ha proseguito Romney, “ho cinque figli: dicendo all’infinito, Romney non ha cinque figli, convincerete qualcuno, forse anche me, ma comunque resta falso”, aggiungendo “Obama nel 2008 ha promesso che avrebbe dimezzato il deficit, ma lo ha raddoppiato”.
Il presidente ha difeso le sue riforme, da quella di Wall Street a quella sanitaria, contestata (”costa troppo, per lo Stato, per le famiglie e per le imprese, che anche per questo non assumono”) da Romney, il quale ha attaccato il taglio da 700 miliardi al piano di assistenza “Medicare”; presidente che ha replicato ironicamente: “Il miglior difensore della mia riforma sanitaria è Mitt Romney, che l’ha varata in Massachusetts, da governatore; dalla sua riforma ho preso ispirazione per la mia”.
L’esito del dibattito: a sorpresa, rispetto alle previsioni della vigilia, è stato il repubblicano ad avere la meglio; secondo i sondaggi a caldo, il 67% degli intervistati ha dichiarato migliore la performance del miliardario mormone; solo il 25% ha preferito il presidente uscente, il quale aveva un leggero (ma costante) vantaggio nei sondaggi (due, tre punti a livello nazionale) prima del confronto.
Vedremo a breve se e cosa il dibattito sposterà in termini di consensi. Intanto, riprendiamo ad esaminare la situazione Stato per Stato come era (gioco forza) prima del confronto tv.

Blindati Obama: Maine/1° distretto (1), Vermont (3), Massachusetts (11), Rhode Island (4), New York (29), Delaware (3), Maryland (10), District of Columbia (3), Illinois (20), California (55), Hawaii (4). Totale: 143.

Molto probabili Obama: Maine/Stato (2), Connecticut (7), New Jersey (14), Michigan (16), Minnesota (10), New Mexico (5), Oregon (7), Washington (12). Totale: 73.

Vantaggio vulnerabile Obama: Maine/2° distretto (1), New Hampshire (4), Pennsylvania (20), Wisconsin (10). Totale: 35.

Incerti: Ohio (18), Iowa (6), Nebraska/2° distretto (1), Colorado (9), Nevada (6), Virginia (13), North Carolina (15), Florida (29). Totale: 97.

Vantaggio vulnerabile Romney: Missouri (10), Arizona (11). Totale: 21.

Molto probabili Romney: Indiana (11), Nebraska/1° distretto (1), South Dakota (3), North Dakota (3), Montana (3), Texas (38), Tennessee (11), South Carolina (9), Georgia (16). Totale: 95.

Blindati Romney: West Virginia (5), Kansas (6), Nebraska/Stato (2), Nebraska/3° distretto (1), Idaho (4), Wyoming (3), Utah (6), Alaska (3), Oklahoma (7), Arkansas (6), Louisiana (8), Mississippi (6), Alabama (9), Kentucky (8). Totale: 74.

 

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