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Vice a confronto

di Antonio Caputo

Al Center College di Danville, in Kentucky (uno Stato dove i Repubblicani hanno la certezza della vittoria), è andata in onda un’altra delle “consuetudini rituali” (come le definimmo la volta scorsa) della campagna elettorale americana: il secondo dei quattro dibattiti televisivi in programma nelle settimane precedenti il voto, dedicato, come da tradizione, al confronto tra i candidati alla vicepresidenza: in questo caso si sfidavano il vicepresidente uscente, Joe Biden sessantanovenne, già senatore del Delaware, scelto quattro anni fa come “running mate” (numero due) da Obama per i democratici, contro Paul Ryan, quarantaduenne deputato in rappresentanza del Distretto 1 (la zona Sud-Est) del Wisconsin e astro nascente della destra repubblicana.
A condurre il confronto, colei che da molti è stata indicata come la vera vincitrice, Martha Raddatz, cinquantanovenne, inviata di guerra della rete televisiva ABC e, per il suo pedigree, assai esperta in politica estera. La Raddatz non si è fatta intimorire dai duellanti, ha posto domande anche scomode, incalzandoli, riprendendoli sui tempi e sulle interruzioni reciproche, quando, (più spesso Biden), si davano sulla voce.
Come di consueto, il dibattito è durato 90 minuti, ma, a differenza di quello della settimana scorsa, tra Obama e Romney, che verteva solo sulla politica interna, è stato (essendo d’altronde l’unico in programma tra i vice) a tutto campo. I candidati erano seduti (a differenza degli aspiranti presidenti una settimana fa) e la conduttrice poneva le domande ad entrambi, in ordine alternato: alla prima ha esordito Biden, alla seconda ha esordito Ryan, e così via, fino all’appello conclusivo, nel quale (per sorteggio) ha parlato per primo il vicepresidente uscente.
Un confronto serrato, aspro, senza esclusione di colpi, tra il “mastino” Biden, noto, è vero, per le sue gaffe, ma anche un vero leone da combattimento nei duelli tv (come dimostra l’esito del confronto quattro anni fa, quando demolì l’aspirante Vice del repubblicano McCain, Sarah Palin), e la “gazzella” Ryan, lesto nello sfuggire alle trappole ed agli attacchi messi in campo dal suo competitor.
Personalmente ho trovato (paradossalmente) Biden migliore sull’economia, terreno prediletto dal repubblicano, e su cui l’amministrazione uscente poteva trovare più gatte da pelare e Ryan più efficace in politica estera, dove, invece, il curriculum di Biden lasciava presupporre che il Vice di Obama facesse un sol boccone del repubblicano.
Tutto all’attacco il vicepresidente, che ha difeso quattro anni di amministrazione democratica attaccando il suo rivale ed i Repubblicani: “Vogliono riportarci alle politiche di Bush”; “Non hanno un piano credibile in economia: dove troveranno i soldi per le loro promesse?”; “Vogliono gli sgravi fiscali per i ricchi, stritolando la classe media”; “Sulla politica estera ci criticano, ma non potrebbero fare nulla di diverso di quello che faremmo noi”. Rispettoso dell’autorevolezza del suo competitor, ma anch’egli aggressivo, Ryan: “In questi quattro anni si sono persi milioni di posti di lavoro”; “la crescita non è mai partita davvero”; “Vogliamo agevolare le piccole e medie imprese, che Obama vuole stritolare facendo crescere le tasse fino al 53%”; “Sull’Iran la politica delle sanzioni annacquate di Obama non ci rende credibili contro il regime degli Ayatollah”, tentando il colpo basso in esordio, sull’assalto all’ambasciata in Libia di un mese fa, che ha portato alla morte del diplomatico Chris Stevens. Colpi bassi anche da parte di Biden, contro Romney, accusato di disinteressarsi del 47% che non paga le tasse (riprendendo la gaffe del miliardario mormone, scoperta un mese fa) e di pagare lui, miliardario, appena il 14% di tasse, molto meno della classe media, grazie a “scappatoie” fiscali.
I sondaggi finali danno un sostanziale pareggio: 48 a 44 per Ryan quello della Cnn; 50 a 31 per Biden quello della Cbs; facendo una media, si tratta di una vittoria ai punti per il vice di Obama, cosa su cui personalmente concordo. Biden doveva recuperare la non brillantissima performance del Presidente (punito troppo severamente, a mio giudizio, dai sondaggi a caldo) la settimana scorsa e con un linguaggio del corpo assai aggressivo, a tratti irritante per il suo sarcasmo e le risate con cui provocava continuamente il suo avversario, sembra esserci abbastanza riuscito. Ryan è parso più posato, e la sua performance è stata premiata da quella quasi metà di spettatori che ha trovato sopra le righe il Vicepresidente, e non apprezzando le sue interruzioni.
Di solito, il dibattito tra i vice non ha grossa influenza sui sondaggi, tanto più quando, come quest’anno, si conclude senza vincitori né vinti. Ma al di là del clamore mediatico, se vogliamo, neppure i dibattiti presidenziali smuovono più di tanto le intenzioni di voto: il dibattito della settimana scorsa, ad esempio, ha suscitato clamore per il sorpasso di Romney; ma è davvero così? Ripercorrendo i sondaggi, dalla primavera, si scopre che Obama aveva un vantaggio vulnerabile a livello nazionale, di uno – due punti, a tratti andava sotto per qualche giorno di frazioni di punto per poi riprendersi quello striminzito vantaggio (in ogni caso inferiore al margine di errore statistico: uno – due punti per Obama, zero – uno per Romney, significa pareggio, per chi conosce davvero il mondo dei sondaggi). Gli spostamenti, come ricordato nei giorni scorsi da Gad Lerner sul suo blog, avvengono dopo ogni avvenimento favorevole per un candidato (e sfavorevole per l’altro): infatti, il quasi pareggio si era smosso ai primi di agosto, per la gaffe sullo stupro, dell’aspirante senatore repubblicano Akin, che aveva portato giù Romney, ripresosi in parte con la nomina di Ryan a vice. Pertanto alla vigilia delle convention, si era di nuovo al quasi pareggio: la Convention repubblicana aveva dato un avaro vantaggio a Romney, subito rovesciato dalle performance di Michelle Obama e di Bill Clinton (più che di quella del presidente stesso) alla Convention democratica. Mentre si stava esaurendo l’effetto Michelle, ecco la gaffe di Romney sui poveri, che mantiene alte le quotazioni di Obama. Ora, la rimonta di Romney, dovuta, secondo chi osserva solo superficialmente le cose, alla sua performance tv. In realtà, nell’immediata vigilia del duello, la rimonta repubblicana era già partita, per l’esaurirsi, sull’opinione pubblica, dell’autogol di Romney, di qualche settimana fa. Certo, la buona perfomance del miliardario ha aiutato le sue quotazioni, ma non ha spostato più di uno – due punti a suo favore (e a sfavore di Obama), e, fino al prossimo dibattito, potrebbe già essersi esaurita. Come non ci stanchiamo di ripetere, sin da quando è partita la nostra valutazione sui singoli Stati, la situazione è assai incerta, e, a meno di colpi di scena clamorosi, tale rimarrà fino alle elezioni.
Ed ecco la situazione a livello dei singoli Stati:

Blindati Obama: Maine/1° distretto (1), Vermont (3), Massachusetts (11), Rhode Island (4), New York (29), Delaware (3), Maryland (10), District of Columbia (3), Illinois (20), California (55), Hawaii (4). Totale: 143.

Molto probabili Obama: Maine/Stato (2), Connecticut (7), New Jersey (14), Minnesota (10), New Mexico (5), Oregon (7), Washington (12). Totale: 57.

Vantaggio vulnerabile Obama: Maine/2° distretto (1), Pennsylvania (20), Michigan (16). Totale: 37.

Incerti: New Hampshire (4), Ohio (18), Wisconsin (10), Iowa (6), Colorado (9), Nevada (6), Virginia (13), North Carolina (15), Florida (29). Totale: 110.

Vantaggio vulnerabile Romney: Missouri (10), Nebraska/2° distretto (1). Totale: 11.

Molto probabili Romney: Indiana (11), Nebraska/1° distretto (1), South Dakota (3), North Dakota (3), Montana (3), Arizona (11), Tennessee (11), South Carolina (9), Georgia (16). Totale: 68.

Blindati Romney: West Virginia (5), Kansas (6), Nebraska/Stato (2), Nebraska/3° distretto (1), Idaho (4), Wyoming (3), Utah (6), Alaska (3), Texas (38), Oklahoma (7), Arkansas (6), Louisiana (8), Mississippi (6), Alabama (9), Kentucky (8). Totale: 112.

 

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