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Quegli accorpamenti (quasi) impossibili

di Fabio Germani

Il governo aveva avvertito Regioni e Comuni interessati: il riordino delle province, nell’ambito della spending review, non avrebbe subito alcun rallentamento. Il ruolino di marcia sarebbe stato rispettato, in ossequio alle proposte dei Cal, ma pur sempre mirato a diminuire (e non di poco) il numero delle province. Le incomprensioni dei giorni scorsi e le rilevazioni un po’ lacunose degli enti locali hanno fatto il resto. Spiega la nota di Palazzo Chigi: “La riforma si ispira ai modelli di governo europei. In tutti i principali Paesi Ue, infatti, ci sono tre livelli di governo. Il provvedimento consente inoltre una razionalizzazione delle competenze, in particolare nelle materie precipuamente ‘provinciali’ come la gestione delle strade o delle scuole. Con il decreto approvato le province sono state ampiamente ridotte. Dal 1° gennaio le giunte delle province italiane saranno soppresse e il presidente potrà delegare l’esercizio di funzioni a non più di tre Consiglieri provinciali. Il numero delle province delle Regioni a statuto ordinario si ridurrà da 86 a 51 (ivi comprese le città metropolitane). Il riordino delle province è stata l’occasione che ha spinto numerosi Comuni a chiedere lo spostamento in un’altra provincia, confinante con quella di appartenenza, per ragioni di maggiore affinità territoriale e socio-economica. Sempre dal 1° gennaio 2014 diventeranno operative le città metropolitane, che sostituiscono le province nei maggiori poli urbani del Paese realizzando, finalmente, il disegno riformatore voluto fin dal 1990, successivamente fatto proprio dal testo costituzionale e, tuttavia, finora incompiuto”.
Come saranno ripartite le nuove Province viene illustrato in questa mappa.

È da considerare completamente riuscita questa sorta operazione chirurgica? Non proprio, perché il decreto del governo sembra inasprire diatribe – laddove compaiono territori che di accomunarsi ad altri non vogliono saperne – e di procedure poco chiare, a detta di alcuni governatori. E poco importa se il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, intervistata dal Messaggero sull’argomento, prova a smorzare le polemiche (basta campanilismi, è il suggerimento in soldoni) garantendo inoltre ai funzionari che non vi saranno licenziamenti poiché “il personale verrà assorbito e ridistribuito nelle nuove entità territoriali accorpate”. Il dado è tratto. “Invito il governo e in particolare il ministro Patroni Griffi a spiegare, finalmente, che cosa intende per città metropolitana, quali competenze vuole assegnarle e, di conseguenza, i relativi trasferimenti”, è la richiesta – tra le tante – del presidente della Regione Veneto, Luca Zaia.
Non sono gli eventuali fraintendimenti, il problema. È soprattutto una questione, in alcuni casi, di vicinanza forzata. Prendiamo come esempio – che già di per sé è sufficiente a comprendere la dimensione del tema – il presidente della Provincia di Monza, Dario Allevi, il quale a chiare lettere ha sentenziato: “I brianzoli non si arrenderanno perché ci abbiamo messo 30 anni per tagliare il cordone di una politica ‘milanocentrica’. I brianzoli, che hanno sempre lavorato in silenzio, non meritano questo. Abbiamo un dialetto, siamo 850 mila, non ci arrenderemo”.
C’è ancora un’altra questione da risolvere, se vogliamo ben più spinosa. La spiega Lorenzo Salvia sul Corriere della Sera: “Dice l’articolo tre che diviene capoluogo di Provincia il comune, tra quelli già capoluogo, avente maggior popolazione residente. La città più grande, non la Provincia più grande. Pescara, non Chieti. La regola era stata già annunciata dal governo, e fin qui ci siamo. Ma il bello viene con la frasetta aggiunta subito dopo, tredici parole appena: Salvo il caso di diverso accordo, anche a maggioranza, tra i medesimi comuni”. E qui viene il bello, sottolinea il Corsera, che prende a modello – anche stavolta tra i vari possibili – la Romagna. “La ‘capitale’ della Romagna dovrebbe essere Ravenna, ma tutto potrebbe saltare se si mettessero d’accordo le altre, Forlì, Cesena e Rimini”.
Ad ogni modo – superato lo choc di alcune realtà territoriali e terminata la battaglia per accaparrarsi lo status di capoluogo – il governo procederà con i tagli aggiuntivi in programma. “Il riordino delle Province – spiega Palazzo Chigi – è il primo tassello di una riforma più ampia che prevede la riorganizzazione degli uffici territoriali di governo (prefetture, questure, motorizzazione civile) in base al nuovo assetto. Dunque anche gli altri uffici su base provinciale saranno di fatto dimezzati”. E soltanto alla fine sarà possibile fare i conti sugli effettivi risparmi. Altro tassello su cui gli enti locali tenteranno di pressare l’esecutivo.

 

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