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Tra la folla: la speranza, poi la certezza

di Rosalba Teodosio

papa_francesco“Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile”. Lo chiedeva il Santo d’Assisi, l’ha pregato il popolo di Dio nei giorni dell’attesa. Che arrivasse l’uomo del nuovo e compisse quell’impossibile ormai necessario.
La speranza, poi la certezza.
C’ero anch’io ieri nella piazza di Pietro, sotto la pioggia battente e i colori degli ombrelli aperti a festa dopo l’Habemus Papam. C’ero anch’io quando il fumo bianco – bianco come non s’era mai visto – ha inondato lo schermo e l’aria della sera, facendo esplodere la folla in urla e lacrime di gioia.
L’emozione di sapere che la Chiesa aveva un nuovo pastore; la fiducia che il suo volto e la sua storia sarebbero stati quelli giusti; l’ansia di conoscere quell’uomo, di salutarlo, di gridargli Eccoci.
Poi le luci hanno illuminato il balcone che si apriva e il cardinale Tauran ha annunciato al mondo il nome del nuovo Pontefice: Jorge Mario Bergoglio. Il silenzio nella piazza. In pochi avevano associato quel nome dal suono italiano al cardinale di Buenos Aires, non tra i papabili di questo Conclave.
Poi l’applauso. Lungo, gioioso, commosso, felice. La scelta di chiamarsi Francesco ci aveva catturati tutti. Quel nome era – ora sì – un nome familiare. Il nostro Papa era lui, la folla lo sapeva.
“Fratelli e sorelle buonasera – ha salutato il Papa: come fa un uomo di strada, un vicino che bussa, un amico che arriva -. Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma e sembra che i miei fratelli cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo”. La fine del mondo… eppure era così vicino quel posto lontano ieri sera. Roma si era allargata o si era rimpicciolita la Città del potere curiale? Quel volto era sintesi e rottura.
Papa Francesco si è affacciato senza l’abito corale, senza stola e senza mozzetta. Soltanto al momento della benedizione ha indossato la stola, che dopo poco ha tolto. Si è inginocchiato alla gente arrivata numerosa, lui, il Papa. Lui, il gesuita. E ne ha chiesto la preghiera, prima di pregare a sua volta per la Chiesa. “E adesso incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo, Vescovo e popolo”. Due volte, a scardinare la distanza tra quel balcone e la piazza sottostante. E poi la preghiera, insieme, per il passato e per il futuro, per la sua chiamata e per colui che l’ha preceduto, Benedetto XVI. Un Padre Nostro, un’Ave Maria, un Gloria al Padre. Le parole della semplicità – hanno sottolineato in tanti -, le parole con cui pregano anche i bambini.
La concessa indulgenza plenaria – valida per i presenti e per tutti coloro che hanno seguito la benedizione grazie ai diversi mezzi di comunicazione – ha poi emozionato fino alle lacrime parte della gente. Il Papa della misericordia, il Papa del perdono, il primo Papa Francesco.
“Francesco, va’ e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina” – pare sia stata la chiamata fatta al Povero d’Assisi. La stessa rivolta, forse, al cardinal Bergoglio.
Il mondo aveva posto le sue domande: il Conclave ha dato la sua risposta. Ha continuato a piovere ieri sera, ma gli ombrelli si sono chiusi per poter alzare davvero gli occhi al cielo.

 

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