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Il secondo tempo del governo Letta

di Fabio Germani

letta_alfanoIncassando la fiducia in Parlamento – lasciamo volentieri le considerazioni politiche su possibili vittorie o sconfitte ai retroscenisti e agli editorialisti dei principali quotidiani –, il premier Enrico Letta ha indicato le priorità per il Paese: crescita e lavoro. Entrambi gli elementi, vitali, registrano cali costanti. Il potere d’acquisto delle famiglie italiane – afferma l’Istat – è sceso del 4,7% nel 2012, il peggior calo dal 1990, inizio della serie storica. Il reddito disponibile delle famiglie consumatrici, invece, è diminuito in termini correnti del 2%. La propensione al risparmio è calata all’8,4% dall’8,8% del 2011, anche in questo caso toccando il minimo dal 1990. Nel 2013 le cose non stanno andando meglio, soprattutto sul fronte occupazionale. È di pochi giorni fa la rilevazione del tasso di disoccupazione tra gli under 25 che ad agosto è pari al 40,1% (in generale si attesta al 12,2%). In pratica le persone in cerca di lavoro tra i 15 e i 24 anni di età erano 667 mila, vale a dire l’11,1% dei ragazzi nella stessa fascia d’età. A ciò si aggiungano i dati contenuti nel rapporto del Cnel sul mercato del lavoro: tra il 2008 e il 2012 i disoccupati ufficiali sono aumentati di oltre un milione di unità, ma “l’area della difficoltà occupazionale” registra un aumento di circa due milioni di persone.
Al netto di tante parole spese sui risvolti politici che avrà il secondo tempo del governo Letta – un primo assaggio si avrà venerdì quando la Giunta del Senato si esprimerà sulla decadenza di Silvio Berlusconi – è da questi numeri che l’esecutivo dovrà far ripartire la propria azione. Il lavoro (e tutto ciò che ne deriva a cominciare dal potere d’acquisto delle famiglie) deve essere la bussola, se non altro per vanificare gli appelli alla vigilia del voto di fiducia. Confindustria, tanto per ricordarne uno, avvertiva che una eventuale crisi di governo avrebbe rallentato, e dunque ritardato, la ripresa ulteriormente. Sempre il Cnel ha ricordato che questo è il peggiore anno dal dopoguerra e che “per riportare il tasso di disoccupazione all’8% entro il 2020, il tasso di crescita del Pil dovrà superare il 2% all’anno”. Anche nell’ultimo monitor Tecnè veniva osservato come grazie ad un impegno di risorse pari a 14,5 miliardi di euro il tasso di disoccupazione scenderebbe all’8%. Ma secondo il Cnel tale traguardo, pur trattandosi di “un target non eccezionale”, è “oggi forse non alla portata del nostro sistema”. Si può e si deve fare di più, comunque. Non si deve essere strenui difensori della stabilità politica a tutti i costi, ma è necessario caldeggiarla se c’è un governo in grado di agire. E nuovi strappi ad orologeria non sono più ammissibili.

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