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Nel 2013 le imprese sono andate meglio

impreseSono 384.483 le imprese nate nel 2013, circa 600 in più rispetto al 2012. Al flusso sostanzialmente stabile delle iscrizioni di nuove imprese, ha corrisposto un aumento del numero di quelle che hanno cessato l’attività, passate dalle 364.972 del 2012 alle 371.802 dell’anno scorso. Il bilancio di queste dinamiche si è tradotto in un saldo anagrafico di fine anno ancora una volta positivo, seppure ridotto dalla crisi a sole 12.681 unità, il valore più modesto dal 2004 ad oggi.
Ad allargare, nonostante le difficoltà, la propria base imprenditoriale sono stati soprattutto il commercio (+15.260 imprese), le attività di alloggio e ristorazione (+11.618) e i servizi di supporto alle imprese (+7.723 imprese, in cui sono incluse il noleggio e le agenzie di viaggio). Sul fronte opposto, i settori che hanno visto ridursi maggiormente la propria consistenza sono stati – al netto dell’agricoltura che, soprattutto per motivi anagrafici, prosegue nella contrazione strutturale della sua base imprenditoriale – le costruzioni (-12.878 imprese), le attività manifatturiere (-5.929) e il trasporto e magazzinaggio (-1.156).
Il rallentamento della vitalità dell’imprenditoria italiana risente in modo particolare dell’approfondirsi della crisi del mondo artigiano: con un saldo negativo di -27.893 imprese, nel 2013 l’artigianato ha infatti ceduto quasi due punti percentuali (-1,94%) della sua base produttiva, la contrazione in assoluto più rilevante dall’inizio delle rilevazioni statistiche di Movimprese.
Questi i dati principali sulla natalità e mortalità delle imprese risultanti dal Registro delle imprese diffusi oggi da Unioncamere sulla base di Movimprese, la rilevazione statistica condotta da InfoCamere, la società che gestisce il patrimonio informativo delle Camere di Commercio italiane.
I dati Movimprese mostrano complessivamente una tenuta – seppur faticosa – del sistema imprenditoriale italiano nel 2013. Pur in presenza di una prolungata contrazione del flusso delle nuove iscrizioni – dal 2007 ad oggi è diminuito dell’11,8% – resta il fatto che negli ultimi nove anni le nuove iscrizioni sono risultate sempre più alte delle cessazioni e che anche nel 2013 (l’anno meno brillante della serie) sono nate 1.053 imprese al giorno, a fronte di 1.018 che hanno chiuso i battenti.
La cosiddetta “voglia di impresa” non viene dunque meno e, a giudicare dalle cifre, gli ostacoli all’ingresso di nuovi attori sul mercato appaiono tutt’altro che insormontabili. Il perdurare della crisi, tuttavia, sta fiaccando sempre più la capacità di tenuta dell’artigianato che, a differenza di altri comparti, da quattro anni vede ridursi, seppure con alterna intensità, il numero delle proprie imprese.
Guardando alla ripartizione territoriale: il Nord-Est appare l’epicentro della depressione demografica delle imprese nel 2013. Senza il suo saldo negativo (-6.725 unità), il tasso di crescita nazionale sarebbe restato infatti invariato rispetto al 2012. In tutte le altre aree, pur in presenza di un saldo positivo, si registra comunque una crescita inferiore rispetto all’anno precedente, con il Centro Italia che si conferma l’area a maggior tenuta del sistema imprenditoriale (+0,74%, un valore più che triplo rispetto alla media nazionale). Più contenuti, ma sopra la media, i valori del Mezzogiorno (+0,31%) e del Nord-Ovest (+0,23%).
Volendo cogliere maggiori specificità, si può osservare come nelle due circoscrizioni del Nord si registrino saldi negativi in tre regioni su quattro. Tuttavia, mentre nel Nord-Ovest l’unica regione con saldo positivo è la Lombardia (che ha lo stock di imprese maggiore del Paese, con 949.631 unità), nel Nord-Est l’unica regione con saldo positivo è il piccolo Trentino Alto Adige. Ciò spiega come il Nord-Ovest riesca a far registrare un saldo complessivamente positivo (+3.640 unità), mentre il Nord-Est vede ridursi il numero delle proprie imprese di altre 6.750 unità, dopo le 4.918 “perdute” nel 2012.
Il quadro delle imprese artigiane si presenta, invece, con tonalità negative In tutte le circoscrizioni territoriali: iscrizioni in diminuzione, cessazioni in aumento, saldi e tassi di crescita fortemente negativi, con il Centro Italia che “limita” le perdite a -1,69%. E’ da notare come nel Nord-Est il saldo negativo delle imprese artigiane (6.537 imprese in meno in un anno) spieghi quasi completamente (per il 97,2%) il saldo negativo complessivo dell’area. Alla luce dei dati settoriali (illustrati più avanti) si sarebbe tentati di dire che una politica industriale efficace debba tener conto in modo particolare della realtà del mondo artigiano. Un mondo che costituisce circa un quarto delle imprese italiane (23,2%), ma che influisce in modo determinante – e da alcuni anni, purtroppo, in senso negativo – sull’andamento demografico complessivo del sistema imprenditoriale italiano.

(fonte: Unioncamre – Movimprese)

 

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