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Ma sul lavoro c’è da aspettare un po’

di Fabio Germani

giuliano_polettiQuello che sappiamo è che il governo ha assicurato misure il cui impatto sarà verificabile soltanto tra alcune settimane. A cominciare dal taglio del cuneo fiscale, che il premier Matteo Renzi ha sintetizzato in questo modo: “Tra le misure previste, la relazione approvata ha individuato in dieci miliardi di euro le risorse per consentire l’aumento della detrazione Irpef in busta paga ai lavoratori dipendenti sotto i 25 mila euro di reddito lordi, circa dieci milioni di persone, dal 1 maggio prossimo, per un ammontare di circa mille euro netti annui a persona. Gli atti tecnici e legislativi verranno approvati nelle prossime settimane”.
Il cuneo fiscale comprende il rapporto tra le imposte sul lavoro – dirette, indirette, contributi previdenziali – e il costo complessivo. Cavallo di battaglia, ad esempio, della Confindustria (nella lettera di qualche giorno fa al Corriere della Sera il presidente Giorgio Squinzi chiedeva un intervento urgente per far ripartire l’economia), il cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti è pari al 49,1% del costo del lavoro, così come riferito in commissione Finanze del Senato dal presidente dell’Istat, Antonio Golini. “I contributi sociali – aveva spiegato – rappresentano la componente più elevata del cuneo fiscale, 28% a carico del datore di lavoro e 6,7% a carico del lavoratore”, mentre in busta paga “ai lavoratori vengono trattenute le imposte sul reddito inclusive dell’Irpef e delle addizionali regionali e comunali”. L’esecutivo ha messo perciò in conto un taglio del 10% dell’Irap (l’imposta regionale sulle attività produttive), compensato dall’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie (dal 20 al 26%, ma non sui Titoli di Stato che quelli – ha detto Renzi – “non si toccano”). Tradotto, tutto ciò dovrebbe garantire 80 euro in più al mese ai lavoratori.
Anche sul fronte del jobs act ci sarà da aspettare un po’. Al momento c’è un decreto legge che prevede le modifiche – e non è poco – del contratto a tempo determinato e dell’apprendistato. “Per il contratto a termine – si legge nella nota di Palazzo Chigi – viene prevista l’elevazione da 12 a 36 mesi della durata del primo rapporto di lavoro a tempo determinato per il quale non è richiesto il requisito della cosiddetta causalità, fissando il limite massimo del 20% per l’utilizzo dell’istituto. Viene inoltre prevista la possibilità di prorogare anche più volte il contratto a tempo determinato entro il limite dei tre anni, sempre che sussistano ragioni oggettive e si faccia riferimento alla stessa attività lavorativa”. Lo strumento dell’apprendistato, invece, viene snellito di alcuni degli adempimenti tecnici e burocratici più controversi, tipo “l’eliminazione delle attuali previsioni secondo cui l’assunzione di nuovi apprendisti è necessariamente condizionata alla conferma in servizio di precedenti apprendisti al termine del percorso formativo”, o la soppressione dell’obbligo, per il datore di lavoro, “di integrare la formazione di tipo professionalizzante e di mestiere con l’offerta formativa pubblica, che diventa un elemento discrezionale”. Inoltre, “è previsto che la retribuzione dell’apprendista, per la parte riferita alle ore di formazione, sia pari al 35% della retribuzione del livello contrattuale di inquadramento”. Per il resto è stato approvato un disegno di legge delega al governo in materia di ammortizzatori sociali, politiche attive, semplificazione e riordino delle forme contrattuali. Per questi ultimi provvedimenti servirà ancora qualche tempo.

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