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Il dibattito sulla net neutrality

di Giampiero Francesca

internet“Con questo voto l’Europa fa qualcosa di concreto per i cittadini”. Con queste parole Neelie Kroes, vicepresidente della Commissione Europea, ha commentato la votazione, avvenuta ieri, a favore dell’abolizione delle tariffe di roaming. Parole importanti almeno quanto l’atto in sé vista l’attuale reputazione che l’Unione sembra avare negli animi dei suoi cittadini. Sembra infatti che parlare di Europa equivalga, in questi giorni, a parlare di problemi e guai. Per questa ragione interventi, anche piccoli ma di evidente vantaggio per i cittadini, come quello appena votato, assumono una notevole rilevanza. Venendo ai fatti concreti con l’approvazione di ieri prende forma quella riforma sulle telecomunicazioni che, già dal 2010, era stata, da più parti, invocata. In particolare la stessa vicepresidente Kroes, il 30 maggio 2013, in un discorso alla Commissione, aveva annunciato la sua volontà di eliminare le tariffe di roaming. Volontà che si tramuta ora in atto concreto. Entro il Natale del 2015 saranno infatti aboliti i costi aggiuntivi che si era costretti a pagare agli operatori telefonici quando ci si trovava ad utilizzare il servizio di telecomunicazione in un paese europeo diverso dal nostro. Questa modifica, fortemente osteggiata dalle compagnie di settore (che contano di perdere circa il 5% dei loro ricavi), rientra nel più ampio e interessante dibattito relativo alla cosiddetta “net neutrality”.

Neutralità delle reti
La neutralità delle reti è, infatti, un concetto che precede la nascita di internet e, più in generale, prevede che tutto il traffico su un determinato mezzo di comunicazione sia trattato allo stesso modo, indipendentemente dalla grandezza e dalla forza (economica) di chi trasmette. Nel caso del web questo principio costringe un determinato provider a garantire la stessa qualità di trasmissione (e quantità di banda) tanto ad un grande portale quanto ad un piccolo blog. Con l’avvio di protocolli di trasmissione integrati, che consentono di veicolare contemporaneamente più sistemi (come il peer to peer o il VoiP), la questione della “net neutrality” ha assunto sempre maggiore rilevanza. Gli investimenti e le pressioni da parte delle grandi aziende hanno infatti animato un dibattito che ha raggiunto, soprattutto in America, toni molto accesi. Le società che forniscono la connessione vorrebbero, infatti, avere la facoltà di garantire alle aziende con maggior traffico (come YouTube e Netflix, servizi che necessitano di molta banda) la possibilità di viaggiare più velocemente sulla rete. Una prestazione che, ovviamente, i provider fornirebbero a pagamento e che garantirebbe loro un notevole profitto. Questa scelta andrebbe però a discapito degli altri utenti, meno grandi o conosciuti, che subirebbero rallentamenti dovuti proprio alla maggiore capacità concessa ai big del web. Se la questione appare in Europa piuttosto chiara, a favore di una fruizione equa della rete, lo stesso non può dirsi per gli States.

La direttiva Open Internet
Una sentenza della Corte di Appello di Washington DC, lo scorso 14 gennaio, ha infatti dichiarato non valide le regole imposte dalla Federal Communications Commission (FCC). Il tema della “net neutrality” era stato oggetto di grandi discussioni negli USA sin dal 2004 quando, l’allora presidente della FCC, Michael Powell, aveva espresso la necessità di porre dei paletti ai provider. Da allora si sono susseguite una lunga sequenza di iniziative e prese di posizione (ben documentate dal sito Gigaom.com) fino all’approvazione, nel 2010, della direttiva “Open internet” che prevedeva, fra l’altro, l’impossibilità di bloccare contenuti legali su Internet da parte dei provider, di impedire discriminazioni non ragionevoli nella trasmissione dei contenuti e la trasparenza sui sistemi adottati. La contromossa, immediata, da parte dei grandi player del settore portò ad una causa, intentata da Verizon (uno dei più grandi provider USA) contro la Federal Communications Commission. Un’azione legale che si è conclusa, come detto, con la sentenza dei giudici di Washington che ha annullato parte della direttiva. Nell’attesa della risposta da parte della FCC (forse un ricorso alla Corte Suprema) non si può non prender atto, al di là delle specifiche circostanze, della centralità di questo dibattito. Anche nell’ottica di quanto sta accadendo in America, dunque, le decisioni prese dalla Commissione, che nella stessa votazione di ieri ha portato avanti la proposta di un regolamento per realizzare un continente connesso (il cosiddetto mercato unico delle comunicazioni), assume una grande importanza. Solo con istituzioni forti e coese si può infatti pensare di controbilanciare il peso di quelle realtà private la cui forza economica e i cui interessi sarebbero altrimenti incontrastati.

 

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