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Crescita e occupazione vanno a rilento

a cura di Fabio Germani

matteo_renziCi sarebbero due modi, diametralmente opposti, per valutare le misure presentate dal governo e contenute nel Documento di economia e finanza. La prima è giudicare positivamente le assicurazioni in termini di coperture finanziarie dopo le roboanti promesse degli 80 euro in più in busta paga a partire da maggio e destinati a chi ha un reddito inferiore ai 25 mila euro lordi, più o meno 1.500 mensili netti. La seconda è constatare come le prospettive economiche di medio e lungo periodo non inducano a confidare in una ripresa di vaste proporzioni. Il Pi crescerà dello 0,8% nel 2014, “con un graduale avvicinamento al 2,0 per cento nei prossimi anni”. Si tratterà pure di una stima “di estrema prudenza”, come affermato dallo stesso premier Matteo Renzi, ma intanto fa il paio con le previsioni del Fondo monetario internazionale secondo cui nel 2015 la Grecia registrerà un tasso di crescita superiore al nostro. Il rapporto deficit-pil si attesterà quest’anno al 2,6% (al 3% nel 2013), scendendo ulteriormente al 2% nel 2015. Per il 2016 il deficit previsto è invece dell’1,5%. Il raggiungimento del pareggio di bilancio slitta al 2016.
L’esecutivo ha poi ribadito l’impegno, già annunciato con il jobs act, di procedere con la realizzazione di un contratto unico con forme di tutela progressiva. Ma anche qui bisognerà attendere soltanto il 2017 prima di osservare un calo strutturale del tasso di disoccupazione, comunque all’11,6% dal 12,8 di quest’anno.

80 euro in più in busta paga
E arriviamo così al punto più dibattutto, non fosse altro che sugli 80 euro in più in busta paga (“la quattordicesima”, come l’ha definita abilmente Renzi) il governo si è giocato gran parte della sua credibilità. Viene in sostanza confermato il tagio di dieci miliardi del cuneo fiscale. Per rendere possibile la misura, servono 6,7 miliardi quest’anno (partendo il provvedimento da maggio) e 4,5 miliardi arriverranno dalla spending review e 2,2 miliardi dall’aumento del gettito Iva e dall’aumento della tassazione sulla rivalutazione della Banca d’Italia. Nello specifico il governo intende innalzare dal 12% al 24-26% l’imposta sulle quote di via Nazionale detenute dalle banche, con buona pace dell’Abi (che infatti si è già detta contrariata dall’annuncio). Poco più di due miliardi di euro costa il taglio dell’Irap, che l’esecutivo recepirà con l’aumento delle rendite finanziarie: ‘aliquota passa dal 20 al 26%. Inoltre i manager e dirigenti pubblici rischiano una decurtazione di non poco conto ai loro stipendi, visto che non potranno guadagnare più del presidente della Repubblica.
Capitolo privatizzazioni. Si punta a incassare dal 2014 e per i prossimi tre anni lo 0,7% del Pil, per l’anno in corso sono quindi previsti 12 miliardi di euro. In un primo momento l’iniziativa riguarderà Poste, Enav e Fincantieri. Altra misura di rilievo, che avrà un certo impatto sul debito pubblico, è l’intervento volto all’accelerazione del pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione.

Gli incapienti e i primi calcoli della Cgia di Mestre
Il presidente del Consiglio ha garantito che presto ci sarà una soluzione per gli incapienti. Questi ultimi sono coloro che appartengono alla cosiddetta no tax area in quanto percepiscono un reddito lordo annuale inferiore a ottomila euro. Il livello raggiunto, cioè, è tale per cui non sono tenuti a pagare l’Irpef e che al momento rimarrebbero tagliati fuori dalle detrazioni previste e dal bonus degli 80 euro. Secondo i primi calcoli della Cgia di Mestre per i redditi da lavoro dipendente al di sotto dei 25 mila euro lordi l’anno l’aumento delle detrazioni Irpef consentirà di abbassare, rispetto al 2013, il carico fiscale di oltre mille euro per una famiglia bi-reddito e di 500 euro per quella monoreddito.

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