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La delicata partita economica di Putin

di Giampiero Francesca

vladimir_putinLe avvincenti baruffe di politica interna, gli scandali e i dibattiti di casa nostra hanno rapidamente fatto spegnere i riflettori sulla crisi Ucraina che, contrariamente a quanto possa apparire, è appena entrata in una delle sue fasi più calde. I venti di guerra sembrano infatti alzarsi minacciosi con l’avanzamento di truppe nella parte orientale del territorio ancora governato da Kiev e il posizionamento di mezzi militari nelle cittadine del nord-est come Sloviansk e Kramatorsk. Ma, a ben guardare, le manovre più importanti, quelle che realmente possono decidere i destini dell’intera area, avvengono altrove, nei palazzi del potere e nelle board room delle grandi aziende. Più che gli spostamenti dei carri armati e dei soldati è dunque importante fare il punto sui precari equilibri geopolitici ed economici di questo scenario. Il braccio di ferro fra Obama e Putin, che ha visto, fino ad ora, l’Unione europea quasi come semplice spettatore, può infatti facilmente rivelare i punti di forza e di debolezza dei due colossi mondiali. Non è certamente casuale, da questo punto di vista, il titolo roboante dedicato da Rana Foroohar, commentatrice economica del Time, alla situazione russa: “Putin ha già perso”. Nella scacchiera internazionale le pedine in campo sembrano infatti mettere orami sotto scacco lo zar; scacco matto, Shāh Māt, letteralmente, “il re è morto”. Proviamo a vedere il perché.

Affari e venti di guerra
La questione ucraina in sé ha rappresentato solo alcune mosse, uno scambio di pedoni, in questa complessa partita. Per comprendere il clima con cui le elités di Mosca affrontarono la crisi ucraina è sufficiente riportare una battuta che circolava negli ambienti del Cremlino all’epoca: “Abbiamo vinto il medagliere di Sochi, ma abbiamo perso l’Ucraina”. Il tentativo di Putin, di riprendersi, anche militarmente, una parte del protettorato perso, si è però rivelato non solo inefficace, quanto piuttosto dannoso. Come evidenziato da Simon Shuster, inviato a Sinferopoli del Time, alla riapertura dei mercati, dopo un primo avanzamento di truppe russe verso il confine ucraino, la borsa di Mosca lasciava sul terreno il 10% del suo valore azionario, bruciando circa 60 miliardi di dollari. La sola Gazprom, nel giro di ventiquattro ore, vedeva andare in fumo 15 miliardi del suo valore. Era bastata la preoccupazione di un possibile inasprimento del conflitto a causare, per la Russia, ingenti danni economici sia sul piano locale (come riportato dal Wall Street Journal) che su quello internazionale (descritti da Clare Connaghan per Market Plus). Non basta però uno scambio di pedoni a decidere una partita. Ecco allora muoversi pedine più importanti, cavalli ed alfieri, rappresentazioni metaforiche della delicata questione energetica. Per dirimere a suo favore la situazione ucraina Mosca ha infatti sfoderato una delle sue risorse migliori, il gas. Ma ancora una volta la strategia di Putin ha trovato sul suo cammino ostacoli maggiori di quanto da lui pronosticato. “Si pensa che sia facile utilizzare l’energia come un’arma” ha ricordato J. Robinson West, uno dei responsabili del Center for Strategic and International Studies, “ma non è così, è estremamente complicato”. Alla minaccia di un azzeramento delle esportazioni di petrolio da parte della Russia infatti l’amministrazione americana aveva infatti risposto proponendosi come fornitore alternativo, grazie all’utilizzo dello shale gas. La mossa di Mosca, assolutamente impraticabile (come dimostra la stessa marcia indietro di Dmitry Peskov, addetto stampa di Putin), e la risposta di Obama, altrettanto impossibile (a reale disponibilità di un quantitativo sufficiente di shale gas è ancora tutta da appurare), hanno comunque avuto l’effetto di disinnescare una delle mosse più importanti di Putin, costringendolo di fatto all’angolo. Ed è proprio quando la partita si sta per concludere che si muove il pezzo più importante, la regina. Una regina metaforica rappresentazione della stessa situazione economica russa, in grado, nel suo complesso, di dare lo scacco matto allo zar. Nel solo primo trimestre del 2014 ben 65 maliardi di dollari sono letteralmente fuggiti da Mosca, con una crescita del 60% su base annua. Le preoccupazioni di nuove sanzioni si aggiungono così ad un quadro già complesso in cui la debolezza del rublo ha messo in seria crisi la finanza russa. La moneta di Mosca ha infatti perso il 10% del suo valore nonostante l’intervento diretto della Banca centrale russa che ha immesso, giornalmente, 200 milioni di dollari per contrastare questo declino. Nuove provvedimenti contro la Russia sarebbero dunque disastrosi. Il mercato azionario, già pesantemente provato (con perdite gravi per colossi come Gazprom, Lukoil, Aeroflot e LSR Group) subirebbe un ulteriore decremento del 30% mentre una diminuzione del PIL nazionale del 4% porterebbe il paese in recessione. A meno di straordinarie mosse da parte di Putin la partita sembra dunque chiusa, Shāh Māt, ma le tensioni militari in Ucraina lasciano prevedere nuove reazioni.

 

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