La sanguinosa guerra civile nell’Iraq di al Maliki/2 | T-Mag | il magazine di Tecnè

La sanguinosa guerra civile nell’Iraq di al Maliki/2

di Mirko Spadoni

John Kerry, Nouri al-Maliki Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama dimostra di esserne preoccupato. “L’ideologia estremista dell’ISIS rappresenta – ha ribadito Obama nel corso del programma della Cbs, Face the Nation – una minaccia nel medio e lungo termine” per gli Stati Uniti. Oltre che per l’Iraq.
Dopo Mosul, domenica il gruppo guidato da Abu Bakr al Baghdadi ha infatti preso il controllo del valico di Anbar al confine con la Giordania, oltre ad aver conquistato punti d’accesso chiave al confine con la Siria. Comprensibile quindi il timore degli Stati Uniti che vedono le regioni occidentali del Paese cadere in mano all’ISIS, quanto mai deciso a creare un califfato islamico che non tenga conto dei confini ‘imposti’ dagli occidentali. Un obiettivo ambizioso, certo. Tuttavia possibile anche grazie alla permeabilità del confine siriano, che permette ai fondamentalisti dell’ISIS di spostare mezzi e uomini a loro piacimento e secondo le esigenze del momento.

Le potenzialità dell’ISIS
L’inquilino della Casa Bianca è però rassicurato dal fatto che gruppi “così violenti ed estremi, una volta che prendono il controllo del territorio, dopo un po’ vengono respinti dalla popolazione locale”. Un sostegno che al momento non è ancora venuto a mancare, nonostante – come raccontato qualche giorno fa da Le Monde – a Mosul, lo Stato islamico ha annunciato l’entrata in vigore della sharia (la legge islamica) che, secondo quanto raccontano gli abitanti del posto non viene imposta con durezza. C’è tuttavia un precedente poco rassicurante: “Era successo così anche a Raqqa – osserva Daniele Raineri su Il Foglio – la città siriana strappata alle truppe assadiste nel marzo del 2013 e finita sotto il controllo dello Stato islamico durante l’estate, poi la situazione è degenerata (cadaveri appesi)”. Nella giornata di lunedì, il quotidiano francese Libération ha pubblicato i 16 comandamenti imposti dal gruppo (viene vietato ad esempio il consumo di alcol e del tabacco) con le relative pene (“esecuzione, crocifissione, amputazione delle braccia o delle gambe, o l’esilio”). Al di là del sostegno (attivo o passivo) della popolazione locale, secondo Charles Lister del Brooking Doha Center, lo Stato islamico può contare su circa 8.000 combattenti in Iraq (per il New York Times, i miliziani dell’ISIS sono circa 5.000-6.000 a cui vanno aggiunti circa 4.000 fondamentalisti dei gruppi sunniti alleati).
“Un numero – sostiene comunque Lister, in un commento sul sito della Cnn – insufficiente per conquistare e controllare più centri urbani”.

La visita (a sorpresa) di John Kerry a Baghdad
Un’eventualità che Washington vuole comunque scongiurare. Anche senza l’aiuto di Teheran: domenica, l’ayatollah Ali Khameini ha ribadito di essere contrario a qualsiasi intervento militare sul suolo iracheno, specie se condotto dagli Stati Uniti. E così il segretario di Stato statunitense John Kerry ha raggiunto – senza alcun preavviso – Baghdad, dove incontrerà il premier Nouri al Maliki. Scopo del viaggio: invitare l’attuale leadership irachena ad una gestione del potere “più inclusiva” e che tenga conto anche delle minoranze sunnite e curde del Paese. Oltre a Kerry, gli iracheni hanno ‘accolto’ anche nuovi missili Hellfire, ordigni che possono essere utilizzati anche a bordo di Cessna modificati. Una fornitura necessaria: l’esercito, che secondo Michael Knights del Washington Institute for Near East Policy ha 60 battaglioni su 243 ‘fuori uso’, aveva esaurito le scorte a sua disposizione nei giorni scorsi, con l’intento di fermare l’avanzata dei miliziani dello Stato islamico. Un tentativo evidentemente senza alcun successo.

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