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La Turchia del presidente Erdogan

di Mirko Spadoni

erdogan_turchia1-1024x716Recep Tayyip Erdogan può finalmente concedersi un sorriso. Dopo aver superato momenti difficili ( a dicembre tre ministri del suo governo – Muammer Guler (Interni), Zafer Caglayan (Economia) e Erdogan Bayraktar (Ambiente) – furono costretti alle dimissioni, perché coinvolti in uno scandalo di corruzione), il leader dell’Adalet ve Kalkinma Partisi (ovvero: il partito della Giustizia e dello Sviluppo – AKP) è stato eletto per la prima volta a suffragio universale presidente della Repubblica con il 51,8% dei voti. Dopo aver individuato il nuovo premier, Erdogan si insedierà formalmente il 28 agosto. L’elezione a capo di Stato dell’ormai ex primo ministro verrà accompagnata con molta probabilità da alcune riforme sul piano politico (l’AKP ha già presentato una bozza di modifica costituzionale, che concede al presidente della Repubblica il diritto di sciogliere le camere e di nominare i membri del governo), ma non economico: “Se sarò eletto presidente – ha promesso il 7 agosto, parlando nel corso del VII Consiglio del Commercio e dell’Industria – non ci sarà alcuna deviazione nelle politiche economiche”. In sostanza: Erdogan, che come notato dal Wall Street Journal adesso potrà nominare i giudici della Corte Costituzionale, che – di tanto in tanto – hanno bocciato alcune (discutibili) leggi approvate dal suo governo, vuole proseguire sulla strada già intrapresa e ricca di soddisfazioni.

La situazione economica del Paese
Negli ultimi anni, il Pil turco è cresciuto a ritmi sostenuti (+9,3% nel 2010, +8,6% nel 2011, +2,7% nel 2012 e +3,7 nel 2013), mentre il Pil pro capite è passato dai 2.500 dollari del 2002 agli oltre 10 mila attuali. La Turchia è così diventata la 16esima economia al mondo. L’obiettivo a lungo termine è però un altro: diventare la decima economia entro il 2023, una data che ricorre spesso nei programmi di Ankara. Il 29 ottobre del 2023, si celebrerà infatti il centenario della nascita della repubblica voluta da Mustafa Kemal e la Turchia vuole arrivarci in grande stile.
Le buone performance dell’economia turca sono dovute alle diverse riforme strutturali introdotte coerentemente al processo di adesione all’Unione europea e alla solidità del proprio sistema bancario, disciplinato da rigidi criteri dopo la crisi del biennio 2001-2002. Molti sono però i punti deboli: un’eccessiva inflazione (+7,4% nel 2013), un alto tasso di disoccupazione (ad aprile del 2014, pari al 9% – Dati Turkish Statistical Institute) e un deficit che secondo le stime dell’Unione europea rappresenterà nel 2013 e nel 2014 il 6,8% e il 7,2% del Pil.

Alcune ‘ombre’ del sistema turco
Ad aprile è entrata in vigore una legge che punisce severamente – con la reclusione fino a nove anni – sia chi diffonde sia chi pubblica informazioni d’intelligence riservate. La norma concede ai servizi segreti, ora sotto il controllo del governo, anche la possibilità di accedere liberamente, senza un ordine del tribunale, ai dati privati di gente comune.
Ad inizio maggio – in virtù di una legge approvata a marzo e che riduce da dieci a cinque anni la durata massima della carcerazione preventiva in attesa di processo – tre cronisti sono stati liberati dopo aver trascorso otto anni di detenzione e dopo essere stati condannati all’ergastolo nel novembre del 2013. Condanna che ad oggi è ancora oggetto di appello.
La libertà d’espressione è così fortemente limitata: secondo il Comitato Internazionale per la Protezione dei Giornalisti (CPJ), al primo dicembre del 2013, le carceri turche accoglievano almeno 40 giornalisti (nell’ottobre del 2012 erano 61). Più che in Iran, Cina o Eritrea.

 

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