Gli Stati Uniti e la violenza dello Stato islamico
Lo Stato islamico ha ucciso un altro reporter statunitense: Steven Sotloff. Il 31enne, rapito in Siria nel 2013, è stato decapitato come James Foley. Ucciso forse dallo stesso boia che – poco prima di assassinare il suo ostaggio – ha lanciato un nuovo messaggio agli Stati Uniti: “Sono tornato, Obama, sono tornato a causa della tua arrogante politica estera nei confronti dello Stato islamico, poiché i tuoi missili continuano a colpire la nostra gente anche il nostro coltello continua a tagliare il collo della tua gente”. Dubbi sull’autenticità del video non ve ne sono, come confermato attraverso un comunicato da un portavoce del National Security Council. Appare invece improbabile che possa essere stato girato in contemporanea con quello di James Foley: “Il killer – osserva La Stampa – specifica in particolare i raid compiuti dagli aerei Usa contro lo Stato Islamico ad Amerli – dove 15 mila sciiti turcomanni erano assediati – con un riferimento temporale che lascia intendere come l’esecuzione sia avvenuta di recente”. Al termine del video, della durata di 2 minuti e 46 secondi e dal titolo Secondo messaggio all’America, l’IS minaccia di uccidere un altro ostaggio: David Cawthorne Haines, cittadino britannico. “Ai governi alleati che entrano in questa alleanza malvagia con gli Stati Uniti dico: andatevene e – conclude il boia – lasciate in pace il nostro popolo”. Pronta la risposta del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama: “Non ci faremo intimidire – ha ribadito in conferenza stampa l’inquilino della Casa Bianca – il nostro obiettivo è smantellare e distruggere” lo Stato islamico.
Ma se da parte sua Obama ha espresso “disgusto”, esiste comunque il rischio che il video possa sedurre aspiranti jihadisti, convincendoli a seguire l’esempio di chi già si è arruolato tra le fila dello Stato islamico o di gruppi appartenenti alla galassia jihadista. Ad esempio: secondo un report della CNN, sono oltre 11.000 le persone che hanno viaggiato fino in Siria per partecipare alla guerra civile. La maggior parte proviene dalla Tunisia (3.000 persone), dall’Arabia Saudita (2.500), Marocco (1.500), Russia (oltre 800) e Francia (oltre 700). Non tutti si ‘arruolano’ nell’IS, sia chiaro. “In molti – osserva la CNN – entrano a far parte di fazioni differenti e talvolta cambiano gruppo a seconda delle necessità”. Così come non tutti sembrano avere piena dimestichezza con l’Islam e i suoi precetti. “Sarwar e Ahmed, che si sono dichiarati entrambi colpevoli di reati legati al terrorismo il mese scorso, hanno comprato Islam for Dummies e il Corano for Dummies” prima di lasciare Birmingham per la Siria, scriveva qualche settimana fa Mehdi Hasan su New Repubblic. “I giovani uomini che traggono piacere sadico dagli attentati esplosivi e dalle decapitazioni possono anche giustificare la loro violenza con la retorica religiosa, ma – osservava Hasan, direttore della sezione politica dell’Huffington Post inglese e presentatore di Al Jazeera – non è il fervore religioso a muoverli”. Quanto scritto in un report sul radicalismo dell’Mi5, diffuso dal Guardian, potrebbe così trovare conferma. “Lungi dall’essere fondamentalisti religiosi, un gran numero di quanti coinvolti nel terrorismo – si legge nel dossier – non pratica regolarmente la propria fede. Molti sono privi di un’educazione religiosa e […] potrebbero essere considerati novizi”. “Una forte identità religiosa – scriveva invece il Guardian – in realtà evita la radicalizzazione violenta”.
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