La crescita dell’Irlanda
Dublino torna a sorridere. Nel secondo trimestre del 2014 il Prodotto interno lordo irlandese è cresciuto dell’1,5% rispetto al trimestre precedente e del 7,7% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, secondo quanto riferito lunedì dal Central Statistic Office.
Una crescita trainata dall’incremento dei consumi privati (+1,8%), dall’aumento delle esportazioni (+13% rispetto allo scorso anno) e che dovrebbe attestarsi attorno al 3% per i prossimi cinque anni, secondo l’auspicio del ministro delle Finanze irlandese Michael Noonan. Risultati notevoli e forse impensabili nel 2010, quando l’Irlanda era uno dei Paesi – assieme a Cipro, Grecia e Portogallo – in maggiore difficoltà tra quelli della zona euro. Pur di salvare il proprio sistema bancario, Dublino fu infatti costretta a chiedere l’intervento della Troika (Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale ed Unione europea), che – in cambio un programma d’aiuto del valore complessivo di 67 miliardi di euro – impose all’esecutivo irlandese di adottare politiche d’austerità oltreché l’introduzione di nuove imposte.
Nel giro di pochi mesi, la spesa pubblica subì tagli considerevoli (30 miliardi di euro, circa il 20 del Pil) così come i salari, ridotti del 20%.
Sacrifici che garantirono a Dublino la possibilità di evitare il collasso e di uscire dal programma d’aiuti piuttosto rapidamente nel novembre del 2013.
Tra le tante note positive (Pil, export e consumi privati in crescita) ce n’è qualcuna ancora negativa: il debito pubblico è infatti al 120% del Pil, mentre il tasso di disoccupazione nel paese resta molto alto (11,5% a luglio 2014, secondo l’Eurostat) seppur in calo rispetto al 15% registrato nel 2010. Dublino ha ancora molto da fare, quindi. Sia per ridurre la percentuale delle persone senza un’occupazione sia per consolidare ulteriormente i conti pubblici. Per il 2015, sono infatti previsti ulteriori tagli per due miliardi di euro. Soldi che secondo quanto sostenuto dal ministro delle Finanze Michael Noonan potrebbero essere ricavati attraverso l’incremento del gettito fiscale e non – come previsto inizialmente – dall’ulteriore riduzione della spesa pubblica.