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Un sogno chiamato Silicon Valley

di Fabio Germani

silicon_valley“Un cambio violento”. L’assioma è che se si vuole avanzare tutti, che qualcuno si arrabbi è cosa da mettere in conto. Che il premier Matteo Renzi si riferisse alle ultime polemiche sul Jobs Act con i sindacati (in particolare per quanto riguarda la proposta di abrogazione dell’Articolo 18 per i neoassunti), è evidente. Ma lo scenario da cui ha parlato – la Silicon Valley, generalizzando – non rende giustizia alla realtà dei fatti. Possiamo prendere il più importante distretto tecnologico al mondo come modello, ma è difficile immaginare una Silicon Valley all’italiana. Non perché sia impossibile, ma perché ci vorranno anni e la volontà di cambiare sul serio. Anche “violentemente”, appunto. La Silicon Valley è in California una realtà consolidata. Il nome fu utilizzato per la prima volta all’inizio degli anni ’70, ma già allo scadere degli anni ’30 si insediò in quell’area la Hawlett-Packard. Lo sviluppo delle tecnologie e della comunicazione, di internet e tutto il resto ha reso quella terra particolarmente “fertile”: Apple, Microsoft, Intel, eBay, Yahoo!, Google, Oracle, PayPal, Elctronic Arts. Era il boom della new economy. Poi Facebook, Linkedin, Twitter: terra che “fertile” continua ad esserlo, considerata la mole di startup che nascono e crescono. Terra che produce cifre inimmaginabili.
Storicamente la Silicon Valley ha tramutato in realtà il sogno americano, pur con tutti i limiti e le contraddizioni del caso. Aziende che nate nella stanza del college o all’interno di un garage hanno poi avuto l’opportunità di consolidarsi ed espandersi, supportate da un sistema burocratico, scolastico e finanche culturale che, ammettiamolo, alle nostre latitudini paiono cose possibili solo su Marte.
In Italia si discute da tempo di disoccupazione giovanile, giunta a livelli record (nel mese di luglio si attesta al 42,9%). La porzione di popolazione compresa tra i 15 e i 24 anni ha difficoltà a trovare un impiego un po’ ovunque, ma ad ogni modo il lavoro deve essere di qualità, con valore formativo e tutelato anche tra i più giovani. A questo, in linea teorica, mirano l’apprendistato e il programma europeo della Youth Guarantee. Chi entra nella Silicon Valley, invece, sa di poter godere di benfit e salari più che dignitosi. Secondo la recente indagine di Glassdoor (portale dedicato alla ricerca di lavoro), uno stagista può arrivare a guadagnare fino a settemila dollari al mese. Nella speciale classifica al primo posto tra le aziende che pagano meglio risulta Palantir Technologies, società che si occupa di software e servizi. Qui gli stagisti guadagnano 84 mila dollari all’anno. A seguire Vmware che garantisce poco meno di 7.000 dollari/mese. Le più quotate Google e Apple pagano gli stagisti quasi 6.000 dollari in media, rispettivamente 5.969 e 5.723 dollari. Di norma lo stage ha una durata che può variare dai sei mesi ad un anno. E la possibilità di carriera è alta, se si è meritevoli. Il 77% degli intervistati di Glassdoor afferma di avere preferenze su un’azienda o sull’altra proprio sulla base delle prospettive di lavoro. Un ingegnere a Google può guadagnare 128 mila dollari in un anno.
Non che i problemi non esistano, ovviamente. Microsoft, ad esempio, ha dovuto ricorrere ad un taglio complessivo di 18 mila dipendenti di cui alcuni impiegati nel laboratorio di ricerca situato nella Silicon Valley per fare fronte a sopraggiunte esigenze aziendali. Molte delle società dell’area stanno facendo mea culpa per i recenti disagi causati dalle falle nella privacy degli utenti. Ma le teste che operano nel settore sembrano pensarne di nuove, in continuazione. Sul cibo, per dirne una. Secondo il New York Times diversi ingegneri starebbero al lavoro con lo scopo di ricreare cibo da composti organici quale alternativa ai derivati animali. O ancora, il Financial Times ha raccontato di startup cristiane, ovvero delle app utili alla Chiesa e ai prelati per l’organizzazione delle mansioni e delle attività per i fedeli. Per la serie: il sogno continua (nonostante le difficoltà) nella Silicon Valley. Da noi la strada è tutta in salita.

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