I tempi e i costi della giustizia italiana
“La riforma della giustizia non è più rinviabile”. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lo ha detto chiaramente nel corso del suo intervento al Quirinale durante la cerimonia per l’insediamento del nuovo Consiglio superiore della magistratura. Al Parlamento è quindi affidato “l’impegno di restituire efficienza ad una macchina giudiziaria lenta e caotica, il cui funzionamento – ha osservato il capo dello Stato – è largamente insoddisfacente”, nonostante i fondi destinati al funzionamento dei tribunali. Ogni italiano spende infatti circa 90 euro l’anno ovvero più di un cittadino francese e poco meno di uno tedesco, secondo il rapporto annuale sui sistemi giudiziari della commissione Europea diffuso a marzo. Occorre quindi metter mano al sistema giudiziario, il cui funzionamento ha effetti inevitabili anche sull’economia del Paese. Secondo uno studio del Fondo monetario internazionale, curato da Gianluca Esposito, Sergio Lanau e Sebastian Pompe, in Italia occorrono circa 1.200 giorni prima di ottenere una decisione definitiva: tre volte di più rispetto a quanto accade in Germania, Spagna e Francia. Una performance dovuta alla lentezza dei processi, moltissimi dei quali ancora in attesa di giudizio e il cui numero è il più alto in Europa, secondo la commissione Europea. Nel nostro Paese ci sono quattro milioni di cause civili pendenti (circa 5,5 per ogni 100 abitanti). Un numero esorbitante, frutto – come già detto – anche della durata (eccessiva) dei processi. Una durata sempre più lunga. I dati, relativi al 2012 e resi noti dal commissario della Giustizia dell’Unione europea Viviane Reding, lo dimostrano chiaramente: in Italia, per ottenere una sentenza di primo grado occorrono 600 giorni. Nel 2010, ne servivano ‘solo’ 500. Dati in linea con quelli contenuti in un rapporto dell’OCSE (Giustizia civile: come promuovere l’efficienza), secondo cui nel 2010 i magistrati italiani impiegavano 564 giorni per emettere una sentenza di primo grado, contro una media di 240 giorni e i 107 giorni del Giappone. Ben 788 giorni erano invece necessari per concludere un procedimento di tre gradi di giudizio. Circa 8 anni, in pratica. Niente a che vedere con il primato della Svizzera (368 giorni).
Eppure velocizzare i processi renderebbe l’Italia maggiormente attraente agli occhi di chi vorrebbe investire nel nostro Paese. “La ragionevole durata dei procedimenti – spiega infatti la Banca Mondiale nel suo Doing Business – è un elemento essenziale di una giustizia efficace […]. Tempi lunghi di risoluzione delle controversie generano incertezza e infliggono costi elevati alle imprese”.
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Al di là del vergognoso lungo tempo d’attesa per ottenere una giustizia che di per se, ovvia deduzione, è una ingiustizia, occorre necessariamente provvedere e prevedere anche delle responsabilità personali nei casi di doli e/o colpa specifica, sia per la tempistica che per il merito delle sentenze. Responsabilità che possono essere sanzionate sia dal punto di vista economico del danno cagionato sia dal punto di vista professionale con penalizzazioni di carriera e, nei casi più gravi anche con il licenziamento. A giudicare ovviamente non devono essere gli stessi giudici, si potrebbe costituire una commissione di esperti per specifiche materie, docenti universitari ed anche giudici. Da ultimo, la separazione delle carriere è una dato imprescindibile.
Cordiali saluti.