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Quanto vengono pagati i ricercatori in Italia

di Mirko Spadoni

università_ricerca1L’osservazione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è tutt’altro che inopportuna: “L’Italia è molto più indietro come numero di ricercatori decentemente pagati”, ha fatto notare il capo dello Stato, parlando al Quirinale in occasione della settimana della ricerca contro il cancro promossa dall’AIRC (l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro).
E’ un’amara verità: in Italia i ricercatori vengono pagati meno che altrove. E’ tuttavia necessaria una premessa, facendo una (prima) distinzione tra i ricercatori dell’università e quelli degli enti di ricerca. Secondo i calcoli di Anna Laura Trombetti e Alberto Stanchi, i primi possono arrivare a percepire una retribuzione lorda mensile iniziale di 1.705 euro per poi percepire – a fine carriera – fino a 5.544 euro. I secondi guadagnano una media di 2.400 euro con la prospettiva di poter diventare un dirigente di ricerca e aspirare – dopo trent’anni di carriera e di concorsi vinti – ad uno stipendio di 7.500 euro al mese. Non abbastanza per convincere molti di loro a restare in Italia. In tanti preferiscono infatti stabilirsi all’estero, dove è possibile percepire un compenso più alto e dove fondi pubblici e privati investono molto di più nella ricerca che qui da noi. Il nostro è infatti tra i Paesi dell’Unione europea e del G20 a spendere di meno in Ricerca e Sviluppo, con un investimento pari all’1,25% del PIL nel 2011, secondo quanto ribadito dall’ISTAT nell’edizione 2014 di Noi Italia. Una percentuale più bassa rispetto alla media europea (2,05%) e lontanissima dal target del 3% fissato da Bruxelles nella strategia Europa 2020.
Secondo uno studio pubblicato dal Times Higher Education, che ha passato in rassegna le università di trenta Paesi, valutandole in base al rapporto tra il reddito d’impresa e il profitto derivato dalla ricerca privata. Un ricercatore sudcoreano “vale” 97.900 dollari, uno di Singapore 84.500 dollari. In Italia, che conquista un modesto 24esimo posto, per ogni ricercatore vengono investiti 14.400 dollari. Undicimila euro, in pratica. Cinque volte in meno rispetto agli olandesi, terzi in classifica con 72.800 dollari.
Non si tratta tuttavia soltanto dello stipendio. Il nostro Paese esce ‘sconfitto’ dal confronto con gli altri anche in altri ambiti. Secondo una rilevazione condotta dallo Human Capital Leadership Institute di Singapore in collaborazione con Adecco (Global Talent Competitiveness Index), nel corso della quale sono stati analizzati 103 Paesi che – insieme – rappresentano l’86,3% della popolazione e il 96,7% del Prodotto interno lordo mondiale, l’Italia occupa il 36esimo posto. Un risultato insoddisfacente, per un Paese che, pur risultando tra i più abili ad allevare giovani talenti, non riesce a ‘trattenerli’. Quest’ultimi – una volta conclusa la loro formazione – preferiscono infatti lavorare all’estero. Mentre difficilmente i loro colleghi decidono di fare il percorso inverso trasferendosi in Italia, caratterizzata da una limitata mobilità sociale (77esimo posto), da una scarsa disponibilità di venture capital e dove è piuttosto difficile fare impresa (95esimo posto).

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