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L’impatto economico delle liberalizzazioni

di Mirko Spadoni

computer_lavoroL’Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo economico ha consigliato all’Italia di aumentare la concorrenza attraverso le liberalizzazioni nelle industrie di rete, nei servizi locali, nelle professioni regolamentate e nella vendita al dettaglio. A trarne beneficio sarebbe l’economia nel suo insieme, spiegano da Parigi.
Una maggiore liberalizzazione nelle industrie di rete, nei servizi locali, nelle professioni regolamentate e nella vendita al dettaglio darebbe un importante impulso al Prodotto interno lordo italiano. Quest’ultimo, sostiene l’OCSE, aumenterebbe di 2,6 punti percentuali nell’arco di cinque anni.
Del resto non è la prima volta che il nostro Paese viene (esplicitamente) invitato ad agire, liberalizzando laddove possibile. L’ultima volta fu il Fondo monetario internazionale, sostenendo che le liberalizzazioni garantirebbero al PIL italiano una crescita aggiuntiva di oltre 4 punti percentuali nell’arco di un quinquennio.
Pareri favorevoli non mancano neanche all’interno del nostro Paese: una piena liberalizzazione del settore dei servizi, stando ad uno studio della Banca d’Italia, consentirebbe una crescita (nel lungo periodo) dell’11% del PIL. Ad aumentare dell’8% sarebbero anche il consumo privato e l’occupazione mentre gli investimenti e i salari reali crescerebbero rispettivamente del 18 e del 12%.
Liberalizzare uno specifico settore – quello delle telecomunicazioni, ad esempio – ne aumenta la concorrenza al suo interno, sostengono alcuni analisti. Si verificherebbe così un abbassamento dei prezzi (offrire prodotti o servizi più convenienti permette alle aziende di ritagliarsi una quota di mercato) e un incremento degli investimenti, stimolando inoltre l’innovazione: offrire un prodotto o un servizio efficiente e innovativo diviene una priorità per le imprese.
Secondo l’indice elaborato annualmente dall’Istituto Bruno Leoni, che misura il grado di apertura di dieci settori dell’economia in 15 Stati membri dell’Unione europea su una scala che va da 0 (monopolio) a 100 (piena concorrenza), il nostro è uno dei Paesi meno liberalizzati in Europa. Dove il livello medio di liberalizzazione è pari al 72%.
L’indice tiene conto di quattro parametri: la libertà d’ingresso nel mercato, la partecipazione azionaria dello Stato, i vincoli normativi e la facilità per il consumatore di cambiare fornitore. Ebbene, secondo il report dell’Istituto Bruno Leoni, l’Italia occupa l’undicesimo posto in classifica con un punteggio pari al 66%. Molto distante dal Regno Unito (94%).
Il settore maggiormente liberalizzato nel nostro Paese, spiega chi ha condotto lo studio, è quello delle telecomunicazioni (87%), seguito dal settore elettrico (81%), da quello televisivo (75%) e del lavoro (72%). Mentre le assicurazioni (60%), i servizi postali (59%) e il trasporto ferroviario (48%) ottengono risultati meno “brillanti”.

(articolo pubblicato il 20 febbraio 2015 su Tgcom24)

 

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