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La “patent box” italiana, cosa è e perché è utile

di Fabio Germani

Start UPLo scopo è rilanciare il sistema imprese e mirare al lavoro e alla produzione. E anche se l’argomento è stato finora poco trattato, quello dalla “patent box” italiana è un’opportunità interessante per promuovere la competitività. Di cosa si tratta? È il nuovo regime opzionale di agevolazione fiscale (introdotta con la Legge di Stabilità 2015) che consente ai titolari di reddito di impresa di escludere parzialmente da tassazione – in forma progressiva del 30% nel 2015, del 40% nel 2016 e in misura ordinaria del 50% a partire dal 2017 – i redditi derivanti dall’utilizzo o dalla cessione di “opere dell’ingegno, da brevetti industriali, da marchi d’impresa, da disegni e modelli, nonché da processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili”. L’argomento è stato affrontato in occasione del convegno organizzato a Roma il 24 giugno 2015 da NODA Studio (studio di commercialisti e avvocati con sei sedi in Italia e membro italiano dell’associazione internazionale Andersen Global) a cui ha preso parte, tra gli altri, il sottosegretario all’Economia, Enrico Zanetti. La riduzione dell’imposta sugli utili dei diritti derivanti dalla proprietà intellettuale, ha osservato Zanetti, rende il nostro paese più attraente per investimenti da parte di capitali esteri, proprio “grazie alla parziale defiscalizzazione per cinque anni”. Con la successiva approvazione dell’Investment Compact (decreto legge 3/2015 convertito con modificazioni dalla legge 33/2015 che ha allargato la platea a tutte le Pmi innovative, non solo startup) è stata estesa la categoria dei beni immateriali che rientrano nell’agevolazione al fine di premiare – come già avviene in altre realtà europee (Paesi Bassi, Gran Bretagna, Belgio, Portogallo, Lussemburgo, Spagna e Francia) – le imprese che svolgono nel nostro paese attività di ricerca e sviluppo volte alla creazione di beni immateriali, appunto, e all’accrescimento del loro valore, contrastando la delocalizzazione dove lo sfruttamento della proprietà intellettuale avviene in un regime fiscale di favore. La misura, poi, va ad aggiungersi ad altre forme di agevolazione già in vigore, “come gli incentivi – ha ricordato Zanetti nel corso del suo intervento – su investimenti di ricerca e sviluppo, incentivi alle startup e agevolazioni Ace (Aiuto alla crescita economica)”.
Per dirla altrimenti, e parafrasando il ragionamento del sottosegratario all’Economia, la “patent box” è un istituto “che potenzia una filiera di comportamenti virtuosi nell’ambito dell’innovazione”, dunque della competitvità. È una strategia ben precisa: porre al centro del rilancio economico il lavoro e la produzione. “La misura – ha perciò aggiunto Zanetti – è stata introdotta in Italia da poco ed è importante che le nostre aziende vengano a conoscenza dei vantaggi che ne possono trarre. Abbiamo così colmato il gap con altri paesi, in cui incentivi simili sono già in vigore da tempo, dando ora la possibilità anche a capitali esteri di investire nelle aziende del nostro paese, da sempre rinomato per la qualità dei nostri professionisti e per l’elevata attività legata all’ingegno e alle proprietà intellettuali”.
Certo che la misura recepisce le raccomandazioni Ocse in materia, ma è altrettanto certo che il nostro paese arriva con un po’ di ritardo. Gli obiettivi principali in questo senso sono incentivare la collocazione in Italia dei beni immateriali attualmente detenuti all’estero da imprese italiane o straniere, incentivare il mantenimento dei beni immateriali in Italia o almeno evitare che questi vengano rilocalizzati all’estero, favorire l’investimento in attività di ricerca e sviluppo. Che da noi, vale la pena ricordare, è l’1,26% del Pil quando la media europea è di poco superiore al 2%.

@fabiogermani

 

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