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Gli italiani e l’Europa

I risultati dell'indagine che Tecnè ha condotto per la CGIL

europaE’ un’Europa che non ha saputo nutrire il grande sogno sul quale è stata edificata, inaridita e soffocata dai tecnicismi, dai parametri, dai vincoli. E’ questa l’immagine che prende forma dalla ricerca “Gli italiani e l’Europa” realizzata da Tecnè per la CGIL. Dall’indagine emergono dati preoccupanti ma anche un patrimonio di attese sorprendenti. Tra i primi troviamo la sfiducia nelle istituzioni.
Quelle locali registrano i dati migliori (32,6%) con livelli da “codice bianco” nel nord-ovest e nel nord-est (rispettivamente 41% e 49%) e decisamente da” codice rosso” nel sud e nelle isole (18% e 17%). Va peggio alle istituzioni nazionali, dove la fiducia precipita al 13%, con livelli poco più alti della media questa volta nelle regioni del centro e insulari (rispettivamente 16% e 15%) per scendere sotto la media nel nord-est e nel sud Italia.

Le istituzioni europee registrano un andamento migliore delle istituzioni nazionali (27,9%), con percentuali più alte della media nel nord-ovest (34%), nel nord-est (29%) e nel centro (30%), mentre nel sud (24%) e nelle isole (e 15%) si registrano i livelli più bassi. Una geografia che la dice lunga sulle “due Italie” che guardano all’Europa, anche dal punto di vista delle opportunità.
Nel complesso quella dell’Europa è un’immagine sfocata, dove predominano i toni di grigio. Sa a dicembre 2014 il 48,6% dichiarava che l’Europa evocava un’immagine complessivamente positiva, oggi gli stessi sono scesi al 43,3%, con una flessione di oltre il 5%.
Soltanto tra i giovani l’immagine dell’Europa continua ad evocare sentimenti largamente positivi ed è significativo che tra i giovani la flessione sia più contenuta (-3% rispetto a dicembre 2014) mentre tra gli anziani si registra la “grande delusione” (-9% rispetto a dicembre 2014) anche se sono le fasce d’età centrali quelle più scettiche.

Prevale un’immagine negativa, dunque, e il campione si divide a metà quando si tratta di valutare se stare nell’Unione rappresenti, per l’Italia, un vantaggio o uno svantaggio.
Questo sentimento positivo si accompagna, però, a considerazioni ben più critiche rispetto a ciò che l’Unione Europea offre concretamente. Due intervistati su tre ritengono, infatti, che l’appartenenza alla UE, in questo momento, non dia alcun contributo alla stabilità economica dell’Italia e una quota equivalente esprime analoghe valutazioni negative su ciò che riguarda la moneta unica. Per il 66,9% del campione, appartenere all’Unione non ha reso più forte l’Italia, non ha offerto nuove opportunità di lavoro (64,6%), né occasioni di sviluppo per le imprese (74,8%). E, soprattutto, non ha migliorato gli standard di vita degli italiani (83,9%).
Le istituzioni europee appaiono lontane dagli interessi dei cittadini. Oltretutto, l’82,1% ritiene che l’Italia abbia poca influenza sulle decisione prese a livello europeo.

Ciononostante la grande maggioranza degli intervistati dichiara che l’Italia debba rimanere membro dell’Unione (69,9%) e restare nell’Euro (64,2%), con dati di adesione addirittura in crescita rispetto al 2013. Dati, questi ultimi, sorprendenti, che rilevano come lo spirito che ha animato il sogno europeo ancora pervada un’opinione pubblica che sembra semmai denunciarne la mortificazione da parte delle istituzioni stesse.
Si evidenzia, nel complesso, una doppia immagine dell’Unione Europea: una legata a ciò che potrebbe diventare come “mercato di opportunità” e l’altra, quella attuale, fatta prevalentemente di vincoli e limiti. Un’Europa che nella formalità burocratica ha perso di vista i cittadini e dove il peso delle istituzioni europee sovrasta eccessivamente l’influenza che possono esercitare i singoli Paesi (51,7%).
Se da un lato, quindi, la presa di distanza dall’Europa così com’è oggi è ferma e inequivocabile dall’altro si rafforza una domanda di Europa come cantiere aperto di opportunità. Un’Europa che sembra tradire le sue aspirazioni originarie nel momento in cui fa prevalere le differenze, anziché le condivisioni. Un sogno che sembra essersi infranto sugli scogli della crisi e sulla rigida disciplina di bilancio, ma che avrebbe bisogno di ben altro per ritrovare quella narrazione comune che vede protagonisti 500milioni di cittadini.

All’Europa servirebbe un new deal per “trasformare una ritirata in un’avanzata”, come disse Franklin Delano Roosevelt nel suo discorso d’insediamento alla Presidenza degli Stati Uniti.
Anche l’Europa ha bisogno di un “nuovo corso” per uscire dalle acque basse in cui è incagliata, perché l’asprezza della crisi che sta vivendo l’Unione (con la Grecia che ne rappresenta il paradigma) merita risposte forti e coraggiose.
D’altronde i livelli d’interdipendenza economico-finanziaria che il mercato unico e l’euro hanno attivato non lasciano dubbi sul fatto che l’Unione debba proseguire, ma è giunto il momento della svolta, di sviluppare una vera e propria unità politica con l’obiettivo dell’interesse comune. Solo se i governi faranno propria questa consapevolezza si potrà invertire il processo di degenerazione economica e dare slancio e reale unità all’Europa.

Sfoglia l’indagine Tecnè-Cgil in pdf

 

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