Il cauto ottimismo di Usa ed Eurozona
La Fed ha deciso di non ritoccare i tassi di interesse, che così restano invariati allo 0,25% (livello mantenuto dal 2008). Non si esclude tuttavia che possa avvenire a breve, a settembre per la precisione. Del resto i dati dell’economia statunitense non sono affatto negativi e anche il mercato del lavoro migliora.
Tra gli obiettivi della Federal Reserve c’è anche quello di incentivare l’occupazione, ma il quadro reale del mercato del lavoro è a tinte fosche. Nel mese di giugno sono stati creati 223 mila nuovi posti di lavoro negli Stati Uniti e il tasso di disoccupazione è sceso dal 5,5% al 5,3%. Un ottimo risultato, che però risente anche del calo del tasso di partecipazione alla forza lavoro, ovvero di quelle persone in grado di lavorare che non hanno un’occupazione (in altri termini il rapporto tra forza lavoro – occupati e disoccupati in cerca di impiego – e popolazione).
In sostanza, il mercato del lavoro dà segnali di miglioramento, ma non al punto da decidere in via imminente un’inversione di tendenza sul costo del denaro. Il Fondo monetario internazionale, da parte sua, ha esortato di recente la Fed ad aumentare i tassi a partire dalla prima metà del 2016, quando cioè dovrebbero esserci “segnali più evidenti su salari e inflazione”. Dopo un primo trimestre a rilento rispetto alle previsioni, secondo il Fmi l’economia statunitense crescerà del 2,5% nel 2015 per poi accelerare al 3% nel 2016.
Ad ogni modo la risalita coinvolge tanto gli Stati Uniti quanto l’Eurozona, nonostante un contesto internazionale complesso e non sempre favorevole. Per il momento la crisi ellenica non sembra compromettere la ripresa della zona euro, anche grazie agli interventi della Banca centrale europea e dalla sua politica monetaria espansiva (quantitative easing). Nel consueto bollettino mensile, infatti, alla luce anche dei vantaggi in questo senso, sottolinea il miglioramento della domanda interna, condizione fondamentale per far ripartire l’economia.
In più, si sottolinea ancora a Francoforte, i bassi prezzi del petrolio dovrebbero continuare a sostenere il reddito disponibile delle famiglie e la redditività delle imprese e, di conseguenza, sostenere i consumi privati e gli investimenti.
(articolo pubblicato il 30 luglio 2015 su Tgcom24)