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L’austerity e il Portogallo

di Fabio Germani

Premier PortogalloAnche in Portogallo il tasso di disoccupazione scende, e non poco. Ben due punti percentuali in un anno, dal 14,1% al 12,1%. È in buona compagnia, in realtà: in Bulgaria la disoccupazione è diminuita dall’11,5% al 9,4%, in Spagna dal 24,3% al 22,2%, in Grecia dal 27% di maggio 2014 al 25% di maggio 2015, in Irlanda dall’11,3% al 9,5% e in Croazia dal 16,9% al 15,1%. Ma il dato resta molto importante, almeno per un paese che di recente è uscito dal piano di salvataggio della Troika per un valore complessivo di 78 miliardi di euro. Un processo comunque lento: a marzo 2014 il tasso di disoccupazione si era attestato al 15,2% (in calo rispetto al 17,4% registrato nello stesso periodo dell’anno precedente, ma molto al di sopra dell’8,5% del 2008). Un anno più tardi, sempre a marzo, era al 13,4%. E poi via via – 12,8% ad aprile, 12,4% a maggio, 12,3% a giugno – fino al 12,1% di luglio.
Secondo la Commissione di Bruxelles – al cospetto di una riduzione in Europa rispetto al Pil del 3,1%, passando dal 19,9% al 16,8% – il Portogallo ha registrato una variazione negativa del 5,9% della spesa per investimenti nel periodo 2010-2014, eppure la graduale ripresa – “ripresina”, per meglio dire – è tra gli elementi (gli altri sono la crescita delle esportazioni e della domanda interna, investimenti – appunto – più consumi) che stanno contribuendo alla risalita economica del paese nel 2015, secondo il Fondo monetario internazionale.
A questo punto verrebbe da farsi una domanda tanto banale quanto inevitabile: l’austerity ha funzionato in Portogallo? La domanda è banale nella misura in cui il dibattito attuale – dopo anni di politiche rigoriste più o meno imposte – sembra aver preso una direzione quasi univoca da parte di media e opinione pubblica: l’austerity, fin qui, ha prodotto poco. Ha permesso ai governi (alcuni) di sistemare i conti, ma ad un prezzo troppo elevato per i cittadini. E anche Lisbona, in definitiva, sta usufruendo di condizioni economiche ora più favorevoli (il costo più basso del greggio, l’allentamento monetario e il deprezzamento dell’euro). La domanda è anche inevitabile perché tra non molto il paese iberico sarà chiamato al voto, con i socialisti a fare da contraltare alle misure di austerità adottate dal governo di centrodestra di Pedro Passos Coelho (Partito social democratico). In Portogallo, nonostante la Troika – quest’ultimo aspetto tutt’altro che marginale –, movimenti anti-austerity in stile Podemos nella vicina Spagna non sono riusciti a catalizzare le attenzioni di quanti vorrebbero un cambio di rotta. Il governo, da parte sua, può “celebrare” alcuni successi – crescita del Pil, aumento delle esportazioni che hanno compensato la perdita dei consumi interni negli anni più duri della crisi, risanamento del deficit –: una situazione, insomma, che differenzia non poco la crisi portoghese da quella ellenica.
Il governo portoghese ha agito intervenendo direttamente sulle tasse, aumentandole, sul mercato del lavoro, rendendolo più flessibile, sulle aziende pubbliche, privatizzando (di recente, ad esempio, due società statali di trasporti). Eppure non mancano le critiche, anche al cospetto di un miglioramento della situazione economica generale. Ad esempio la riforma del mercato del lavoro, secondo molti, sta generando una nuova platea di working poor. Dal turismo, invece, le ultime note positive: il settore è in crescita del 20% negli ultimi due anni, parecchio al di sopra della media mondiale. Una risalita che il ministro dell’Economia portoghese, Antonio Pires de Lima, ha spiegato in questo modo, qualche giorno fa, quasi a sottolineare i progressi compiuti dal paese in questi anni: è il frutto dello “sforzo realizzato dagli imprenditori per diversificare l’offerta, il lavoro dell’amministrazione pubblica per ridurre i costi operativi delle imprese del settore, la collaborazione pubblico-privata nella strategia di promozione, che risponde così alle necessità reali dell’industria turistica”. Proclami a parte, la ripresa del Portogallo – ha osservato proprio il Fmi non molto tempo fa, tra gli altri –, è condizionata anche dall’elevato indebitamento pubblico e privato.

@fabiogermani

 

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