Il peso del fisco sulle imprese italiane
Anche il presidente della Bce, Mario Drgahi, lo aveva sottolineato: per sostenere la ripresa le misure di politica monetaria non bastano, servono meno tasse e più investimenti pubblici. In altre parole creare condizioni favorevoli alle imprese. Le nostre, poi, sono tra le più tartassate d’Europa.
In generale, nell’arco di 20 anni (dal 1995 al 2015), le tasse locali sono aumentate da 30 miliardi a 103 miliardi di euro, con una crescita del 248%. La pressione fiscale, invece, è passata dal 40,3% al 47%, secondo l’indagine Confcommercio-Cer in materia.
Dal lato delle imprese, inoltre, si osservano discrepanze di città in città. In questo senso Confcommercio propone un esempio: avere un’impresa con sede a Roma (la città dove la pressione si fa sentire di più) o a Trento (l’ultima della classifica) con un imponibile Irap pari a 50.000 euro e un imponibile Irpef di pari entità significa pagare nel primo caso 19 mila euro (tra Irap e Irpef) e nel secondo 16.744. In ballo, cioè, risulterebbero esserci 2.256 euro l’anno di tasse in più o in meno.
Secondo un’indagine del Centro studi ImpresaLavoro di inizio 2015, su dati che si riferiscono al 2014 contenuti nel rapporto Doing Business 2015, l’Italia è ultima in Europa e 141esima nel mondo per facilità del sistema fiscale, mentre sul podio si collocano Irlanda, Danimarca e Regno Unito.
L’Italia nel 2014 è riuscita a passare da un prelievo complessivo del 65,8% ad uno del 65,4% (il Total Tax Rate considera tutte le imposte e tributi gravanti sulle imprese), al di sotto della Francia (66,6%), ma ben distante dai principali partner. Il prelievo in Germania, per rendere meglio l’idea, si attesta al 48,8%, in Grecia al 49,9%, in Portogallo al 42,4% e in Spagna al 58,2%.
Il più recente rapporto Paying Taxes 2016 della Banca Mondiale e di PWC, riferito sempre al 2014, afferma invece che nel nostro Paese il Total Tax Rate pesa per il 64,8% dei profitti delle imprese, contro una media europea del 40,6%.