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Il peso economico della cultura in Italia

biblioteca_libri_culturaStando agli ultimi dati Eurostat, la spesa pubblica italiana, nel 2014, è risultata essere pari al 51,3% del Pil. In aumento rispetto alla media Ue (che si è attestata al 48,2%), ma su livelli al di sotto di quella francese (57,5%) e non solo. Se parte consistente delle risorse è destinata alla protezione sociale, altrettanto non si può dire della cultura.
Nel primo caso, infatti, l’Italia impiega il 21,5% del Pil (19,5% la media Ue), quota che ci colloca ai primi posti dopo Finlandia, Francia, Danimarca e Austria. Nel secondo caso, al contrario, l’1,4% quando la media europea è al 2,1%. Nell’insieme la spesa pubblica è inferiore alla media Ue anche per quanto riguarda l’educazione (7,9% a 10,2%, la percentuale sul Pil è 4,1% a fronte del 4,9 Ue) mentre per l’istruzione i valori variano. Ad esempio la spesa è inferiore nell’educazione universitaria, post-universitaria e nella ricerca, tuttavia è in linea per quella primaria.
Insomma, l’Italia è agli ultimi posti per percentuale di spesa pubblica destinata a istruzione e cultura. Un trend che sembra caratterizzare, in negativo, il nostro paese da tempo. Secondo un’analisi condotta in passato dal Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica della Presidenza del Consiglio, emergeva un taglio che dallo 0,9% del 2009 riduceva la spesa in cultura allo 0,6% nel 2011 (portandoci agli ultimi posti nell’Unione europea).
In generale, al di là degli investimenti pubblici, quello della cultura è un mercato che cela luci e ombre in Italia. Il settore dell’editoria non sta attraversando un buon momento: nel 2015 il numero degli occupati nell’intera filiera della carta ha registrato un nuovo ribasso (-1,2%). Il segmento dei libri (compresi gli ebook) ha evidenziato una lieve risalita, peggio va quello dell’editoria quotidiana e periodica.
Eppure, dal rapporto Io sono cultura 2015 della Fondazione Symbola, era risultato che le imprese del sistema produttivo culturale italiano (che include, però, un bacino molto ampio: le industrie culturali, le industrie creative, performing arts e arti visive, attività legate alla gestione del patrimonio storico artistico e produzioni di beni e servizi a driver creativo) producono 78,6 miliardi di euro (ovvero il 5,4% della ricchezza prodotta in Italia). Cifra che può arrivare a 84 miliardi circa (il 5,8% dell’economia nazionale) se si includono istituzioni pubbliche e non profit.
Non solo. La Fondazione Symbola aveva anche stimato “un effetto moltiplicatore”, pari a 1,7, per il resto dell’economia. In pratica per ogni euro prodotto dalla cultura se ne attivano 1,7 in altri settori. E così gli 84 miliardi, precedentemente considerati, ne stimolerebbero altri 143, per arrivare a 226,9 miliardi prodotti dall’intera filiera culturale, con il turismo principale beneficiario di questa tipologia di sostegno.
Ad ogni modo il trend della spesa pubblica e l’andamento della spesa delle famiglie sembrano andare di pari passo, in entrambi i casi, cioè, al di sotto della media Ue. Il confronto internazionale contenuto nel rapporto Noi Italia 2015 dell’Istat mostra per l’anno 2012 una quota di spesa destinata a consumi culturali e ricreativi da parte delle famiglie italiane pari al 7,1% (in linea con Estonia e Portogallo). La media dei paesi Ue si attesta, invece, all’8,7%. Nel 2014, tuttavia, la spesa delle famiglie per la cultura è tornata a crescere (+2%, Rapporto 2015 di Federculture). Ma circa un quinto della popolazione non partecipa ad alcuna attività.

 

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