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Ora è la domanda interna a sostenere la crescita

spesa_consumi_famiglieIl segno meno che pesa sulle esportazioni italiane è il segnale, l’ennesimo, di una situazione più ampia che coinvolge certo non solo noi, bensì i diversi attori interessati. Tale rallentamento, infatti, rientra nell’ambito di uno scenario che non sta più registrando da diverso tempo i livelli rilevati negli anni della crisi, ponendo alcuni interrogativi sulle ricette economiche fin qui adottate. Circa un anno fa la Banca centrale europea lanciava il suo programma di stimolo all’economia dell’Eurozona, rinvigorito di recente (quantitative easing), allo scopo di favorire imprese e famiglie. Un’iniezione di liquidità che avrebbe dovuto rendere meno ostico l’accesso al credito, spingendo così i consumi e innalzando l’inflazione su valori prossimi al 2%, come è nelle prerogative della Bce.
La politica monetaria espansiva, con la conseguente svalutazione dell’euro, avrebbe perciò dovuto favorire le imprese fortemente orientate all’export (con effetti positivi, nel suo complesso, su occupazione e produzione), ma così non è stato – non come ci si aspettava, almeno – a causa soprattutto del contesto internazionale. Insomma, se negli anni della crisi è stato il commercio estero a tenere a galla diverse economie, il paradigma è ora cambiato.
La Bce sostiene che senza il suo intervento le cose sarebbero potute andare peggio e ciò è confermato, nonostante l’attuale fase deflativa, dalla lieve risalita della domanda interna (consumi e investimenti) che ha compensato la perdita osservata nell’export, nonché trainato la (debole) ripresa economica dell’Eurozona.
Secondo le previsioni, come ha ricordato l’Istat nelle ultime ore, la ripresa continuerà a essere sostenuta dalla domanda interna “in presenza di un contributo negativo della componente estera, condizionata dal rallentamento del commercio mondiale” e il Pil dell’Eurozona dovrebbe crescere quest’anno a ritmi simili a quelli del 2015 (+1,6%).
L’andamento condiziona anche il nostro paese. Nel primo trimestre dell’anno, infatti, la dinamica dell’export risulta in flessione (-1,7%) rispetto all’ultimo periodo del 2015, principalmente per il contributo negativo dell’area extra-Ue (-3%). In altre parole, a pesare negativamente, è la situazione non felicissima dei mercati emergenti.
In prospettiva, le esportazioni di beni e servizi aumenteranno quest’anno dell’1,7%, rimanendo – sottolinea però l’Istat – “al di sotto della crescita della domanda potenziale di prodotti italiani”. Al contrario la progressiva ripresa della domanda interna e in particolare degli investimenti favorirà un’accelerazione delle importazioni nel secondo semestre dell’anno.
Per rendere meglio l’idea, anche la Germania – il cui Pil ha continuato a correre nel primo trimestre 2016 – ha registrato una crescita sostenuta soprattutto dalla domanda interna (spesa delle famiglie, grazie all’aumento del reddito disponibile, e spesa pubblica) anziché dalle esportazioni, come avvenuto di consueto in questi anni. Resta il fatto, però, che la Germania contribuisce maggiormente al saldo più che attivo dell’area della moneta unica e a marzo ha evidenziato un recupero dell’export.

 

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