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Uno status giuridico per i robot

di Umberto Schiavella

robotIl 23 giugno del 1912 nasceva Alan Turing, papà dell’informatica e dell’intelligenza artificiale. Nell’ottobre del 1950 pubblicò un articolo dal titolo “Computer Machinery and Intelligence” dove sviluppò il suo famoso interrogativo: “Le macchine possono pensare?”. Il lavoro di Turing è considerato una vera pietra miliare negli studi sulla relazione esistente tra corpo, mente e intelligenza artificiale. E’ proprio grazie a quest’opera che si sviluppa l’idea di costruire un computer senziente capace di simulare l’attività del cervello umano fino ad arrivare alla prospettiva dell’esistenza di un cervello scevro dal corpo. Dal lavoro di Alan Turing, successivamente, nascono due diverse correnti di pensiero legate all’Intelligenza Artificiale. La prima, chiamata “Intelligenza Artificiale Forte”, prevede che i computer possono essere in grado di riprodurre processi intellettuali identici a quelli degli uomini. Secondo questa corrente non esiste alcuna differenza ontologico-quantitativa tra il cervello umano e un cervello elettronico e, quindi, di rimando, tra intelligenza umana e intelligenza artificiale. L’unica differenza riscontrabile è insita nella sede o nel supporto fisico che ospita il cervello, sia esso fatto di carne ed ossa o in metallo ed energia. La seconda corrente è invece chiamata “Intelligenza Artificiale Debole” secondo la quale le macchine sono solo in grado di simulare i processi intellettuali dell’uomo in quanto è l’elemento ontologico della diversità tra intelligenza artificiale e umana a fare la differenza.
Le macchine possono pensare? E se sì, quale sarebbe il loro status giuridico?
Per i sostenitori dell’Intelligenza Artificiale Forte i robot possono essere considerati come soggetti del diritto, mentre per chi è favorevole alla tesi dell’Intelligenza Artificiale Debole gli automi resterebbero sempre e solo degli oggetti inanimati senza alcun status giuridico. Proprio in questi giorni è stata presentata alla Commissione Europea, una proposta, non vincolante, che illustra come sia necessario iniziare a pensare alle macchine future come dotate di uno status giuridico. Anche se sembra un discorso molto anticipato, passerà ancora del tempo prima di assistere all’invasione, pacifica, dei robot tutto fare, si tratta di un argomento molto importante e da non sottovalutare. Se un robot sarà in grado di prendere delle decisioni vi saranno delle conseguenze in merito al suo comportamento e le norme vigenti e tradizionali non saranno in grado di riconoscerne la responsabilità. Nella relazione presentata alla commissione giuridica dell’Europarlamento si legge che lo sviluppo della robotica e dell’Intelligenza Artificiale è in forte accelerazione e queste innovazioni avranno un impatto gigantesco sul mondo del lavoro ed è possibile che, nel giro di pochi decenni, l’Intelligenza Artificiale superi la capacità intellettuale umana cosa che, se non saremo preparati, potrebbe mettere in pericolo la capacità degli umani di controllare ciò che hanno creato. Proprio in questi giorni DeepMind, una società di Google che si occupa di robotica, ha proposto di installare una sorta di bottone rosso sui robot per bloccarli e renderli innocui nel caso in cui potessero verificarsi dei comportamenti che potrebbero mettere a rischio la vita degli esseri umani. Nel momento in cui un robot sarà in grado di ragionare, di prendere decisioni sia per autonomia cognitiva che per apprendimento si porrà il tema della responsabilità giuridica. E per affrontare una tale situazione sarà importante stabilire delle norme atte ad individuare le responsabilità, insieme ad una serie di codici di condotta in grado di superare il limite di quanto può essere tradotto in codice macchina, ma che coinvolgano anche gli umani nella loro convivenza con le macchine.
Secondo la relazione Stati Uniti, Giappone, Cina e Corea del Sud stanno già adottando atti normativi in materia di robotica e intelligenza artificiale ed è ora che anche il governo europeo inizi a fare altrettanto. I relatori della commissione si chiedono se non sia il caso di dotare i robot di uno status giuridico di “persone elettroniche” con diritti e doveri costringendo in questa maniera i loro utenti, in particolare le aziende che li utilizzano, a seguire tutta una serie di regole relative alla responsabilità legale ed ai risarcimenti per gli eventuali danni causati. Regole che potrebbero diventare realtà tramite l’istituzione di un registro pubblico di immatricolazione dei robot e la creazione di un fondo per risarcire i danni che, robot “ribelli” potrebbero causare. Una parte importante del testo presentato alla Commissione riguarda proprio questo, ossia la difficile relazione esistente tra chi costruisce i robot e chi dovrebbe rispondere delle loro azioni o degli eventuali danni che potrebbero derivare dal loro uso. Questa proposta non è stata vista di buon occhio dall’industria della robotica che vede nell’intervento burocratico un modo per frenare lo sviluppo di queste nuove tecnologie, è ovvio poi che, l’assenza di un quadro normativo specifico, gioca a favore delle industrie in quanto le responsabilità potranno essere scaricate direttamente sugli utenti e sulle assicurazioni.
L’Europa potrebbe presto dotarsi di una normativa sulla robotica in grado di definire i robot e loro caratteristiche obbligandone la registrazione, individuandone la responsabilità civile, garantendone l’interoperabilità, l’accesso al codice e ai diritti di proprietà intellettuale. Una normativa che obblighi le imprese alla stesura di informative come quelle usate per molti altri servizi di pubblico interesse. Inoltre il testo prevede anche l’ideazione di una sorta di codice deontologico per gli ingegneri che lavorano allo sviluppo dei robot e ai software di intelligenza artificiale, un codice basato sulla precauzione e sulla inclusione dei detentori di diritti.
Di questi giorni la notizia della prima evasione robot della storia da un laboratorio di una cittadina russa. Prombot, questo il nome dell’automa, è fuggito da una porta lasciata accidentalmente aperta, ma la sua fuga si è arrestata dopo appena 40 minuti a 50 metri dall’edificio nel bel mezzo di una strada trafficata in seguito all’esaurimento della batteria. Sicuramente si è trattato di un’astuta mossa di marketing, piuttosto che di una fuga dettata dalla voglia di libertà di un automa senziente, per questo è ancora presto.

 

1 Commento per “Uno status giuridico per i robot”

  1. […] forse, il giorno in cui robot o replicanti gireranno per le nostre strade, magari dotati di una personalità giuridica, rivoluzionando definitivamente le nostre vite, la nostra società, introducendo nuove abitudini e […]

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