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Numeri e dinamiche dei test d’ingresso universitari

di Silvia Capone

studenti_universitàIl 26 luglio scadrà il termine per poter inviare la domanda di partecipazione ai test di ammissione delle facoltà a numero programmato. L’imminente incombenza riguarda tutti quei giovani che dovranno sostenere prove nazionali. È a questo proposito famosa la tanto temuta prova di accesso a medicina, che, secondo i dati di Alphatest, vedeva nel 2015 un posto disponibile per ogni sei candidati, ma certo non passa inosservata veterinaria con un posto ogni 10. Proprio queste facoltà hanno registrato lo scorso anno un calo degli iscritti alle prove d’accesso. La diminuzione, rilevante soprattutto per medicina e architettura (rispettivamente del 13% e del 18% rispetto al 2014) non ha colmato l’enorme divario tra candidati e posti disponibili. Inoltre quest’anno il Miur ha tagliato i posti a livello nazionale per questi corsi, creando malcontenti per il sostanziale calo delle possibilità di essere ammessi (in particolar modo a medicina, odontoiatria e veterinaria). A influire sulla riduzione delle domande è stato sicuramente anche il minor tempo disponibile dato agli studenti per effettuare l’iscrizione, ridotto dalle quattro settimane del 2014 a 17 giorni nel 2015, saliti a 22 nel 2016, fungendo così da preselettore per gli indecisi o i ritardatari.
La discussione verte poi, come oggi anno, sull’effettiva utilità delle prove ad accesso programmato e sulle competenze che vanno a saggiare. Le domande non sono mirate ad attestare particolari attitudini o solamente gli interessi alla materia e alla futura professione, sono quesiti sia specifici, che presuppongono una conoscenza di argomenti da trattare nel corso degli studi, che generali e spesso posti in modo ambiguo. Per questo motivo molti studenti realmente intenzionati a superare la prova, si preparano con largo anticipo seguendo corsi privati incentrati più sulla metodologia di risposta che sulle materie trattate.
La dinamica di questi test ha di conseguenza un duplice effetto, può da un lato scoraggiare in partenza aspiranti candidati, o al contrario può spingere altrettanti a tentare per il gusto di farlo, per attestare la propria “intelligenza”, quasi fosse una sfida. La soluzione per i primi è quindi rivolgersi verso facoltà che richiedono test di orientamento, necessari da sostenere, ma non vincolati a un punteggio minimo per essere ammessi. Il dibattito riguarda anche questo tipo di test, che per molte facoltà è solo una formalità poiché mettono a disposizione più posti disponibili rispetto al numero medio dei candidati. In altri casi questo tipo di prova è ritenuto utile poiché consente all’aspirante matricola di essere valutato su materie che tratterà nel futuro corso di studi e avere debiti in materie in cui la sua preparazione è carente.
Il metodo di adottare test di ammissione sembra però necessario soprattutto in quelle facoltà dove si presenta un numero eccessivo di candidati rispetto ai posti resi disponibili. La procedura lascia però il problema e il dubbio della sua finalità e della modalità di valutazione attraverso una selezione per merito che non dovrebbe avvenire a priori e a crocette.

 

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