Usa 2016. Tensioni razziali e ciclicità degli eventi: “All Involved” | T-Mag | il magazine di Tecnè

Usa 2016. Tensioni razziali e ciclicità degli eventi: “All Involved”

Intervista allo scrittore e artista Ryan Gattis, autore del romanzo Giorni di fuoco, ambientato nella difficile Los Angeles del 1992
di Fabio Germani

los_angeles_riotsGli ultimi disordini si sono verificati a Charlotte, nel North Carolina. Ormai il copione è lo stesso da molto tempo a questa parte: degli agenti uccidono un nero e la popolazione insorge, si riversa nelle strade, protesta, ricorda che black lives matter. A Charlotte c’è scappato il morto durante le manifestazioni per l’uccisione del 43enne Keith Scott e 12 agenti, almeno, sono rimasti feriti. A Dallas qualche mese prima andò anche peggio: in quel caso morirono cinque poliziotti, colpiti dal venticinquenne veterano dell’Afghanistan, Micah Johnson, nel bel mezzo delle proteste di quei giorni di luglio. Intanto, stavolta a Baltimora, il giovane nero Tawon Boyd è l’ennesimo morto ammazzato per mano della polizia. L’America sta attraversando una fase delicata, la convivenza tra persone appartenenti a diversi gruppi sociali appare frammentata e la frattura coinvolge ceti poveri e abbienti, cittadini e forze di polizia o istituzioni in generale. Messa così, a poche settimane dalle presidenziali poi, il quadro appare disastroso. Ma la verità è spesso migliore di come viene descritta: oggi più che mai le minoranze godono di status e privilegi negati fino a poco tempo fa e un cittadino afroamericano può puntare persino alla Casa Bianca. O una donna, volendo. I disordini registrati in questo lungo arco temporale devono perciò essere analizzati per quello che sono: un problema da risolvere. Generalizzare sarebbe incredibilmente deleterio. È questo il suggerimento, tra le righe, di Ryan Gattis, artista e scrittore dell’Illinois (ma cresciuto nel Colorado), autore del romanzo All Involved (Giorni di fuoco nell’edizione italiana, Guanda, 2016) che racconta di gang e vita di strada in una sequela di avvenimenti legati alle sommosse di Los Angeles del 1992, dopo la sentenza che scagionò i quattro agenti autori, un anno prima, del pestaggio di Rodney King.

LA PROFEZIA DI LIL’ CREEPER
Tra il 29 aprile e il 4 maggio 1992 Los Angeles fu messa a ferro e fuoco. In principio i neri se la presero soprattutto con bianchi e agenti di polizia, ma in seguito il conflitto fu esteso alla comunità coreana, rea di sottrarre lavoro agli afroamericani. Alcuni eventi successivi alimentarono infatti le tensioni tra le due componenti in lotta. In All Involved, Gattis racconta il contorno – per così dire – di quei “sei giorni di fuoco”: le gang – nel nostro caso latine, la “clica” – approfittarono dei disordini per agire indisturbate, svaligiare gli esercizi commerciali, appiccare incendi, vendicare vecchie ruggini, regolare i conti: uno spaccato di società statunitense, seppure nella crudeltà dei bassifondi. Per riuscire nell’impresa Gattis ha condotto un’indagine certosina, parlando con molte persone: ex criminali, vigili del fuoco all’epoca in servizio, testimoni.


Le rivolte di Los Angeles. Immagini dell’epoca, da YouTube

A un certo punto della storia, Lil’ Creeper, tra i protagonisti del romanzo, afferma: “Los Angeles ha la memoria corta. Non impara mai niente. Ed è questo che la distruggerà. Sta’ a vedere. Ci saranno altre rivolte razziali nel 2022. O anche prima, non so”. Ad oggi, eventi di quel tipo, non si sono più verificati. Al massimo, come spiega Ryan Gattis a T-Mag, “ci sono stati piccoli tumulti sparsi per il paese, ma finora contenuti e, in verità, nulla a che vedere con la devastazione e il caos che travolsero Los Angeles nel 1992”. Per quanto riguarda quel passaggio, confida Gattis, “mi sono ispirato al ciclo di disordini in questa città. Che ‘non impara mai niente’, come dice Creeper. Gli scontri a Chinatown nel 1890. Le rivolte Zoot Suit nel 1943. Le sommosse di Watts nel 1965 e, tuttavia, nulla è cambiato per quanto riguarda alcune questioni fondamentali (lavoro insufficiente, scarsa assistenza sanitaria e scarsa istruzione, zero programmi dopo-scuola), che influenzano negativamente le persone più povere e vulnerabili dell’area. Nel libro cito Thomas Pynchon. Lui andò a Watts nel 1966 per vedere se qualcosa era cambiato. Non lo era. Quando le cose stanno così, è probabile che resti della benzina, allora può bastare una scintilla per far divampare un altro incendio”.

ALL INVOLVED – TUTTI COINVOLTI
ryan_gattis_01All Involved, insomma, potrebbe allo stesso modo essere un titolo azzeccato per un romanzo ambientato ai giorni nostri e non esclusivamente quasi 25 anni fa: “In origine il titolo è stato pensato per trasmettere l’idea che tutti a Los Angeles furono coinvolti dagli eventi. Tutti percepivano come se la violenza potesse riguardarli, anche se non era letteralmente vero. (“Involved”, ndr) È inoltre un termine dello slang chicano, per indicare qualcuno che fa parte di una gang, che è seriamente ‘coinvolto’. E uno spunto davvero affascinante mi è venuto quando ho trascorso del tempo con i vigili del fuoco. Se un edificio è in fiamme nel loro gergo è ‘involved’ e forse non ci sono parole migliori per definire una città ‘all involved’, perché si registrarono oltre 11 mila incendi in quei sei giorni del 1992. Questo vale anche oggi: piaccia o no, siamo ‘tutti coinvolti’ nella società. Nel bene o nel male…”. Se gli si chiede di fare un confronto tra il 1992 e questi anni, Gattis dipinge però un quadro in chiaroscuro. “Per alcuni aspetti le cose oggi vanno meglio. Il crimine violento è in calo a Los Angeles. Ciò è dovuto principalmente al fatto che le bande di strada si fanno meno la guerra e hanno interessi commerciali mirati. In breve, sono diventate imprese criminali professioniste. Dall’altra parte, però, c’è una comprensione che si sta evolvendo rapidamente a livello di società, della violenza della polizia e del targeting razziale. Quel che è peggio: queste situazioni sembrano essersi aggravate. Mentre Rodney King è stato picchiato, afroamericani come Freddie Gray, Michael Brown, Trayvon Martin e altri sono stati assassinati. In molti modi, i tempi attuali appaiono più drastici. Le videocamere si sono evolute in tecnologia tascabile, quindi vediamo di più. Le immagini ci forniscono il massimo della comprensione sui differenti metodi di controllo nella società. La domanda ora è: che cosa abbiamo intenzione di fare al riguardo? Questo è uno dei problemi fondamentali del nostro tempo. Non possiamo consegnare tutto ciò ai nostri figli. Deve essere risolto. Purtroppo, la cosa che ostacola di più tale processo è il modo in cui la polizia viene considerata all’interno del sistema di giustizia penale e i benefici che trae nella difesa legale. Circostanza – osserva Gattis – che certamente non è cambiata. Gli assalitori di King se la sono cavata, così quelli di Gray. E Brown. E Martin. E tanti altri. Quando non c’è responsabilità, non c’è giustizia”.

UN ROMANZO “IN RIMA”
L’hip hop è stato definito in passato, da molti dei suoi protagonisti, come una novella forma di giornalismo, mettere in rima la cruda realtà. Leggendo il romanzo di Ryan Gattis si ha quella stessa sensazione, ripercorrere un episodio dopo l’altro le fasi di un contesto che segnò la storia della comunità afroamericana e della società statunitense in generale. Qualcuno mise in dubbio la collettiva mitopoiesi del melting pot, a causa di quei fatti lì. E gli avvenimenti a cavallo tra l’aprile e il maggio del 1992 divennero presto oggetto di dibattito politico, con il presidente uscente George H. W. Bush e lo sfidante democratico Bill Clinton impegnati nella campagna elettorale: più pragmatico l’approccio del primo, più emotivo quello del secondo. Ora appare tutto così attuale, di nuovo, con i contenuti impegnati del rap e Black Lives Matter. Gattis è un grande fan dell’hip hop e mostra un’orgogliosa gratitudine quando gli proponiamo questa chiave di lettura. “Gli A Tribe Called Quest (un famoso gruppo hip hop attivo soprattutto negli anni ’90, ndr) hanno cambiato la mia vita. The Low End Theory (loro storico album del 1991, ndr) rappresentò un cambiamento epocale per me. Credo sia corretto dire che questo genere musicale ha modellato la mia comprensione e il rispetto delle parole. Forse nessun’altra forma d’arte è responsabile della mia cura per i dettagli e per l’autenticità nello storytelling. Mi impegno molto per ritrarre questa cosa nel mio lavoro. Ho bisogno che i lettori sappiano che se sto scrivendo di qualcosa, o qualcuno, è perché ne so al riguardo, sia per le mie esperienze con la violenza sia per la ricerca e il lavoro di approfondimento svolto con ex membri delle gang, vigili del fuoco, infermieri… Sono onorato che si veda questo tipo di connessione, sicuramente cerco di scrivere con lo stesso spirito che avverto nei miei pezzi rap preferiti”.


Il discorso di Obama a Washington all’inaugurazione del Museo di storia e cultura afroamericana

(24 settembre 2016)

L’AMERICA CHE OBAMA LASCERÀ
L’America è oggi più divisa? Se lo stanno chiedendo in molti a poche settimane dalle presidenziali. Secondo un’analisi New York Times/CBS ai tempi dell’elezione di Obama (2008) il 60% dei cittadini neri definiva genericamente negative le relazioni razziali. Questa percentuale scese subito dopo il successo elettorale dell’allora senatore dell’Illinois, per poi risalire al 68% a distanza di sette anni, il valore più alto dalle proteste di Los Angeles del 1992. Ma secondo una rilevazione Gallup, tanti cittadini – bianchi, neri o ispanici – ritengono oggi migliorate le proprie condizioni di vita rispetto al 2008. Che paese lascerà Obama al suo successore? “Questa è dura. La cosa più prudente da dire è che stia lasciando un’America divisa, ma non va biasimato per questo. Magari sarebbe successo comunque, con qualsiasi uomo non-bianco eletto presidente”, osserva l’autore di All Involved. “Le strategie dei Repubblicani, ostruzionismo e dare la colpa all’altra parte di non fare nulla, i media prevenuti di destra, a mio avviso sono più responsabili loro di questa divisione. Per anni sono stati per i razzisti come un fischietto per i cani. Si pensi al complottismo dei birthers secondo cui Obama non è un cittadino di origine statunitense. Oltre a questo, non sono certo sia possibile attribuire responsabilità ad un presidente per cose indipendenti dalla sua volontà, in particolare le ‘esecuzioni extragiudiziali’ di afroamericani, che vediamo in abbondanza ora che i social media e gli smartphone diffondono le immagini di questi atti orribili. Molto probabilmente – conclude amaro Gattis – ci stiamo avvicinando ad un punto di svolta, ma non ho idea di cosa si tratti o come arriveremo dall’altro lato”. Lo scopriremo a breve, quando oltreoceano si volterà pagina. O forse no, ci sarà da attendere ancora un po’.

@fabiogermani

Le puntate precedenti:
Usa 2016. Chicago violenta, percezione e realtà
Usa 2016. Non solo Clinton e Trump
Usa 2016. Programmi economici a confronto
Usa 2016. I miliardari e le campagne elettorali
Usa 2016. Tim Kaine, il rassicurante vice di Hillary

 

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