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Bene le imprese, ma i negozi soffrono ancora

Le osservazioni di Confesercenti: proseguono le difficoltà nel segmento del commercio tradizionale
di Redazione

Il calo dei fallimenti certificato da Unioncamere e il contestuale aumento del numero di imprese è naturalmente una notizia positiva, un ulteriore segnale tangibile di come la risalita stia favorendo un miglioramento generale del tessuto produttivo italiano, seppure ancora lontano dai livelli pre-crisi. Alcuni settori di attività economica, tuttavia, continuano a mostrare difficoltà. È il caso, ad esempio, del commercio tradizionale.

manichini

A farlo notare è Confesercenti, che ricorda come – secondo le proprie elaborazioni su dati Infocamere/Movimpresa – dall’inizio dell’anno si sono persi 3.157 negozi, al ritmo di circa 11 in meno ogni giorno. Quindi, nota ancora Confesercenti, c’è questa contrapposizione: da un lato le attività di alloggio, ristorazione e servizio bar sembrano andare a gonfie vele (trainate dal turismo, che sta tornando ai suoi livelli competitivi, ma attenzione: quasi un’impresa su due nel settore chiude entro i primi tre anni di vita), dall’altro un rischio – più marcato in alcune realtà, pià contenuto in altre – di desertificazione commerciale.
Da cosa può dipendere tale situazione? Sono più di una le regioni che concorrono alle diverse analisi. Sicuramente gli effetti della crisi non sono ancora svaniti. Si è visto come i bassi livelli inflazionistici non sostengano la ripresa dei consumi, che sono tornati a crescere troppo lievemente rispetto all’aumento del potere d’acquisto delle famiglie. I prezzi bassi inducono a rimandare gli acquisti, così cresce la propensione al risparmio.
Un secondo aspetto, non meno trascurabile, è legato alle vecchie e nuove abitudini che modificano gli standard di consumo. Una dimostrazione giungerebbe proprio dal segmento ristorazione. Da uno studio di Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) e Confcommercio emerge che tra il 2008 e il 2016 le attività di ristorazione sono aumentate, passando da 251 mila a 271 mila. Solo che mentre i “take away” hanno visto crescere il segno “più” del 35%, i bar hanno registrato un calo del 4%.
Perché? Per la Fipe il motivo è da ricercarsi soprattutto nei cambiamenti negli stili alimentari e nel turismo internazionale, che impone per così dire nuovi modelli di consumo. E non deve neppure stupire, di conseguenza, se è nei centri storici delle grandi città che si nota maggiormente questa tendenza.
In definitiva, tornando alle osservazioni di Confesercenti, resta quella cifra, ancora inquietante: 11 esercizi commerciali in meno ogni giorno. Un calo che non viene compensato nemmeno dall’aumento di imprese straniere che ad agosto secondo l’Osservatorio Confesercenti risultavano essere oltre 160 mila, il 18,5% del totale: un aumento di circa 7 mila attività rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Le criticità restano anche perché, tra le altre, le imprese guidate da titolari non italiani presentano un ciclo di vita mediamente più breve.

 

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