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Lavoro: su dati Inps serve maggiore approfondimento

Dopo la diffusione del "Rapporto sul precariato" molti organi di informazione si sono concentrati sulla cosiddetta “frenata dei voucher”. Servirebbe, invece, una lettura più attenta
di Fulvio Fammoni*

Gli organi di informazione commentando i dati Inps sull’occupazione si soffermano particolarmente sulla cosiddetta “frenata dei voucher”. Servirebbe –invece – un maggior approfondimento: i voucher nel 2016 continuano ad aumentare in numeri assoluti anche negli ultimi mesi pur se la dinamica è in leggerissimo rallentamento (al netto di meccanismi di ricalcolo a posteriori che ultimamente, troppo spesso, si verificano sui parametri economici.
Nel 2016 i buoni venduti sono oltre 133 milioni, il record assoluto da sempre, +23,9% sul 2015 che è stato un altro anno di boom. Infatti, se il calcolo percentuale viene fatto sul 2014 la crescita (+ 95%) si raddoppia.

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La tendenza nei numeri assoluti resta altissima. Anche nel periodo ottobre-dicembre 2016, i voucher venduti sono superiori a quelli dello scorso anno. A dicembre 2016 sono 3 milioni in più rispetto a gennaio e così via. I numeri confermano che, non solo il problema non è superato, ma anche considerando i primi mesi dell’adozione della tracciabilità (quelli in cui le nuove norme di solito hanno un maggiore effetto) è facile prevedere che ci troveremo in futuro di fronte a nuovi record. Ma l’enfasi su questo argomento ha fatto passare in secondo piano gli altri dati sull’occupazione. Il rapporto INPS si chiama “Rapporto sul precariato”, un termine molto appropriato.

Le assunzioni a termine nei primi 11 mesi del 2016 sono in forte crescita, oltre 3,4 milioni e, assieme alle assunzioni stagionali pari a 510 mila unità, rappresentano il 74% dei nuovi rapporti di lavoro. La variazione netta delle assunzioni a tempo determinato è stata fino a novembre 2016 di +492 mila, contro +98 mila dei primi 11 mesi 2015, +241 mila del 2014. Continua a calare invece il tempo indeterminato. Si sono letti molti commenti di agenzie sul buon funzionamento del Jobs Act. Eppure, sempre i dati, dicono che l’unica cosa che a produrre risultati è stata la “droga” degli incentivi, peraltro con un costo altissimo. Infatti, tra i lavoratori dipendenti del settore privato (esclusi domestici e agricoli) calano, i nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Nei primi 11 mesi del 2016 sono stati 1.146 mila; inferiori non solo a quelli dello stesso periodo del 2015 (-547 mila, pari al -32,3%), ma addirittura anche a quelli del 2014 (- 50 mila).

Anche le trasformazioni in tempo indeterminato da rapporti a termine e da apprendistato sono in calo del -30,3% rispetto al 2015.
Quello che ha interessato le imprese è stato – dunque – quasi esclusivamente lo sconto di costo dato dagli incentivi per tre anni. “Quello sconto”. Un incentivo esiste ancora ma non è ritenuto appetibile. Il saldo occupazionale complessivo del tempo indeterminato (incluse le trasformazioni che però riguardano rapporti di lavoro già esistenti) +66 mila, resta per ora ancora in zona positiva (senza le trasformazioni, a differenza del 2015, il saldo sarebbe però largamente negativo), anche se drasticamente ridotto rispetto al 2015 (+ 660 mila) e inferiore anche al dato 2014 (+ 83 mila).
Un dato molto basso ma che va ulteriormente interpretato in rapporto alla diminuzione dei flussi in uscita, anche per una forte diminuzione dei pensionamenti, pari nel 2016 per il FLDP a -50 mila unità (vecchiaia, anzianità, invalidità). Verificheremo il prossimo mese il consuntivo su base annua. Dicembre 2015 (ultimo mese dei vecchi incentivi) fece segnare una ingente dinamica di crescita (335 mila assunzioni a tempo indeterminato); per chiudere in positivo il 2016 servirebbero dunque ben più di 200 mila assunzioni a T.I. nel solo mese di dicembre. Difficile che sarà così, ma vedremo e commenteremo il dato finale.

In sintesi se, oltre alle attivazioni a tempo determinato e stagionali, si prende a riferimento anche il fortissimo aumento dei voucher, si conferma come le forme di lavoro instabile siano assolutamente predominanti nell’ accesso al lavoro. Questo è il prevedibile bilancio dell’attuazione del Jobs Act nel 2016. Non è dunque prevalentemente con le norme lavoristiche che si creano prospettive stabili di crescita di lavoro. Il sistema produttivo italiano attualmente non genera in modo strutturale quantità di lavoro sufficienti a ridurre la disoccupazione e a dare risposte ai giovani. Per questo la ricetta utile è solo lo sviluppo e le condizioni necessarie a crearlo. Ma questo è un altro capitolo sul quale torneremo.
Infine, un riferimento ai dati sui licenziamenti: i licenziamenti per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo sono cresciuti del 27% (+14 mila unità) rispetto al 2015 e del 34% (+17 mila) rispetto al 2014. Il problema, anche se il referendum proposto dalla Cgil non è stato ammesso dalla Corte, continua dunque ad esistere, si aggrava e necessita di interventi concreti.

Qualcuno commenta che si tratta di un travaso tra le vecchie dimissioni in bianco e il nuovo meccanismo dei licenziamenti. Sarebbe come sostenere che si è sanato un abuso e si è istituito un canale alternativo per mandare a casa le persone anche senza giusta causa e giustificato motivo: chi lo sostiene si assume una grave responsabilità. Ancora un’ultima, seria, preoccupazione. Si avvicina il periodo in cui lo sconto fiscale residuo sarà equivalente alle mensilità previste nelle “tutele crescenti” per il licenziamento. Sarebbe insopportabile che – dopo un così forte abbassamento di costo – si mettesse in discussione il futuro delle persone, e questo sarebbe bene che, preventivamente, “tutti” lo dicessero prendendo un impegno concreto.

*Presidente della Fondazione Giuseppe Di Vittorio

 

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