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Con le Rems si superano davvero gli OPG?

Il caso del 22enne suicida nel carcere di Regina Coeli dimostra l'importanza di percorsi riabilitativi specifici per i detenuti con disturbi psichici
di Matteo Buttaroni

Qualche sito d’informazione ha ritenuto doveroso soffermarsi sulla storia del giovane suicida nel carcere di Regina Coeli. Una storia riassunta in poche righe, sgrammaticate, narrate dal protagonista al fratello attraverso una lettera, in cui aveva lasciato intendere tutta la sua frustrazione e l’esasperazione derivante dalla vita detentiva, spiegando di non farcela più. Dalla lettera, inviata poi dalla madre del ragazzo alla Fondazione Antigone, emergono “con chiarezza – spiega la stessa Fondazione che si impegna per i diritti e le garanzie del sistema penale – le difficoltà psicologiche di cui soffriva il ventiduenne che fa riferimento anche all’ipotesi di suicidarsi”. Alla luce di quest’ennesima tragedia, il quesito che si sono subito posti alla Fondazione Antigone e, insieme a loro, a StopOpg è: “Perché non è stata concessa una misura cautelare non detentiva? Quindi alternativa al carcere e anche alla Rems, onde rispondere meglio alle esigenze, anche di cura, del giovane?”.

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Facciamo un breve resoconto di quanto avvenuto. Il ragazzo, prima di approdare a Regina Coeli era in cura presso il Rems (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza) di Ceccano, in provincia di Frosinone. Fuggito e resosi irreperibile, una volta rintracciato dai carabinieri era stato poi trasferito nel carcere romano dove, da un paio di mesi, si trovava in regime di sorveglianza speciale. Un contesto che l’avrebbe portato ad un’esasperazione tale da convincerlo a togliersi la vita. Non perché in chissà quale luogo angusto fosse stato mandato e con chissà quali condizioni proibitive (sì, ok, le situazioni delle carceri italiane sono quelle che sono, ma questo è un altro discorso), ma semplicemente perché quello non era il suo posto. Il 22enne aveva bisogno di cure o, per meglio dire, di un percorso riabilitativo. Come spiega il comitato nazionale StopOPG in una nota in cui commenta l’accaduto:

«Le persone, ancor più così giovani, con problematiche di questo tipo, devono essere affidate al sostegno medico, sociale, psicologico dei servizi delle ASL territoriali e non messe dietro le sbarre di una cella e nemmeno necessariamente finire in Rems, che è una delle soluzioni non l’unica. Infatti, l’obiettivo della legge 81/2014 sul superamento degli Opg è quello di far prevalere, per la cura e la riabilitazione delle persone, progetti individuali con misure non detentive, nel solco delle sentenze della Corte Costituzionale, la n. 253 del 2003 e la n.367 del 2004, ispirate esplicitamente dalla legge 180 (Riforma Basaglia). Le Rems quindi devono essere l’extrema ratio e non, come sta accedendo, il nuovo contenitore al posto degli Opg o peggio l’alternativa al carcere. Così si stravolge la funzione delle Rems (e le si travolgono visti i numeri delle persone potenzialmente coinvolte), che non sarà più “residuale”: cioè destinata ai pochi casi in cui le misure di sicurezza alternative alla detenzione si ritiene non possano essere assolutamente praticabili. Questa tragedia ripropone il tema del diritto alle cure dei detenuti troppo spesso negato dalle drammatiche condizioni delle carceri. La prima risposta è rafforzare e riqualificare i programmi di tutela della salute mentale in carcere da parte delle Asl, mentre il Dap deve istituire, senza ulteriori ritardi, le sezioni di Osservazione psichiatrica e le previste articolazioni psichiatriche, che non possono essere solo celle con posti letto, servono spazi adeguati per le attività di cura e riabilitazione. Ma soprattutto si devono potenziare le misure alternative alla detenzione. Tanto più per i reati minori. Il diritto alla salute e alle cure dei detenuti non si risolve inviandoli nelle Rems aumentandone i posti. Se moltiplichiamo strutture sanitarie di tipo detentivo dedicate solo ai malati di mente, riprodurremmo all’infinito la logica manicomiale. Piuttosto bisogna potenziare i servizi di salute mentale e del welfare territoriale. Infine, occorre abolire la misura di sicurezza speciale destinata solo ai malati di mente autori di reato: l’ultimo muro del manicomio da abbattere».

IL SUPERAMENTO DEGLI OPG
Nel comunicato, StopOPG parla della necessità di trovare forme alternative alla detenzione per casi di questo genere. Già un notevole passo avanti è stato fatto un paio di anni fa con l’approvazione definitiva della legge che avrebbe sancito la chiusura definitiva degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg). Al momento della conversione in legge del decreto erano sei gli Opg ancora aperti e ospitavano circa 700 detenuti. Di questi, mentre 250 sono stati inseriti in percorsi terapeutici personalizzati, i rimanenti 450 sono stati ospitati dalle Rems, appunto le Residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza sanitaria. Un passo avanti, questo sì, ma il superamento degli OPG non deve essere inteso come “gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari sono stati sostituiti dalle Rems”, come sottolineato anche da Pietro Pellegrini – Direttore del Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche Ausl di Parma – in una lettera pubblicata sul sito StopOPG.

«Partiamo dal punto fondamentale – spiega Pellegrini – che ritengo debba essere dato come acquisito: l’OPG non è stato sostituito dalle REMS ma dall’insieme dei servizi sociali e sanitari di comunità dei quali fa parte il Dipartimento di salute mentale e al suo interno opera come struttura specialistica la REMS. Questo si realizza nell’ambito di un sistema di welfare pubblico universalistico e di tutela dei diritti e delle diversità. Il superamento dell’OPG avviene in un contesto di comunità con il quale, in maniera strutturale ed organica, la REMS articola le proprie attività nell’ambito di modello di salute mentale di/nella comunità dando applicazione a misure di sicurezza che assumono, di fatto, il significato di misure giudiziarie “di comunità”. Nel c.p. alla parola OPG non va sostituita REMS (e tutto continua come prima) ma con Dipartimento di salute mentale e tutte le prassi vanno fortemente ridefinite e innovate».
(continua a leggere)

COSA DICE LO STUDIO VIORMED
E qui si torna al caso, specifico, del ragazzo di Regina Coeli. Come si legge nel comunicato di StopOPG: “Le Rems devono essere l’estrema ratio, e non, come sta accedendo, il nuovo contenitore al posto degli Opg o peggio l’alternativa al carcere”. Il ragazzo che, come spiega la Fondazione Antigone, probabilmente soffriva di disturbi psichici, necessitava di un percorso riabilitativo adatto alle sue esigenze e non di una detenzione come quella carceraria. A supportare questa tesi ci sarebbero anche i risultati preliminari di uno studio – il primo condotto in Italia in questo ambito – realizzato dall’Ospedale Fatebenefratelli di Brescia e coordinato da Giovanni de Girolamo (responsabile dell’Unità operativa di Psichiatria epidemiologica e valutativa all’Irccs Fatebenefratelli di Brescia): il Viormed – Violence risk and mental disorders. Dallo studio – condotto comparando i comportamenti di 82 pazienti con disturbi psichiatrici e storie di violenza alle spalle (precedentemente detenuti in carceri o in Opg) con pazienti con diagnosi simili ma senza precedenti di violenza – è emerso che i primi (quindi quelli con episodi di violenza alle spalle), se inseriti in un percorso riabilitativo ad hoc, non si rendono protagonisti di atteggiamenti aggressivi in misura maggiore rispetto ai secondi (ovvero i pazienti con le stesse patologie ma senza precedenti violenti). In parole povere la ricerca ha dimostrato che nei pazienti che in passato si sono resi protagonisti di atti di violenza, se “curati bene”, l’aggressività diminuisce drasticamente.

 

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