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I fattori che potrebbero frenare i consumi

Alcune analisi sostengono che i consumi delle famiglie italiane potrebbero subire un rallentamento e i motivi sono diversi
di Redazione

Durante uno dei suoi ultimi interventi, il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha sottolineato che “i rischi più elevati” per l’Italia e la zona euro “potrebbero derivare dall’accentuarsi di un clima di incertezza e di pessimismo che può scoraggiare i piani di spesa di famiglie”, rallentandone il ritorno ai livelli precedenti la crisi economica.

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Il 2017 non dovrebbe essere un anno (particolarmente) positivo per i consumi: il Rapporto COOP prevede un ritmo di crescita inferiore rispetto all’ultimo biennio, dall’1% registrato nel 2014 e nel 2015 al +0,7% di quest’anno, dovuto soprattutto alla ripresa dell’inflazione e al rallentamento dei redditi.
Anche l’Outlook Italia di Confcommercio e del CENSIS prevede un incremento dei consumi meno consistente rispetto al 2016 (+0,6%). A preoccupare le famiglie c’è soprattutto l’andamento del mercato del lavoro – per quest’anno Confcommercio stima un aumento dell’occupazione 0,4% – e un del reddito disponibile reale delle famiglie, che aumenterà dello 0,3% a fronte di un +2,2% registrato nel 2016.
Se confermate, le stime contenute nel rapporto COOP e nell’Outlook Italia certificherebbero un rallentamento dei consumi, ancora molto lontani dai livelli precedenti alla crisi economica. Una stima dell’Ufficio economico di Confesercenti – il calcolo è stato elaborato sulla base dei dati dell’ISTAT – sostiene che nel 2015 la spesa media annuale delle famiglie italiane è stata pari a 22.882 euro, 856 euro in meno rispetto al 2007.
Non tutte le voci di spesa hanno subìto un taglio, però: tra il 2007 e il 2015 sono cresciute le spese fisse – termine con il quale si indicano le spese legate alla manutenzione della casa, all’acqua, l’elettricità e i combustibili per il riscaldamento – e, seppure in maniera meno marcata, anche quelle sanitarie e per la salute.
I consumatori hanno ridotto il budget destinato ad altre voci di spesa: un’altra indagine dell’Ufficio economico di Confesercenti sostiene che il commercio al dettaglio ha registrato una diminuzione delle vendite (alimentari e non) di circa 7,7 miliardi di euro, tra il 2010 e il 2016, pari ad oltre 300 euro di spesa in meno per famiglia.
La perdita non sarebbe equamente divisa tra le varie forme distributive, in realtà: a subire il contraccolpo peggiore sono i negozi della distribuzione tradizionale (-6,9 miliardi in sei anni). Meglio va alla grande distribuzione, che ha limitato le perdite, grazie (soprattutto) alle vendite alimentari nei discount.

 

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