Presidenziali Francia. Macron-Le Pen alla prova del voto | T-Mag | il magazine di Tecnè

Presidenziali Francia. Macron-Le Pen alla prova del voto

Quale valore attribuire al secondo turno delle presidenziali francesi, il primo di una serie di appuntamenti cruciali per le sorti dell'Europa? Il futuro presidente sarà libero di agire secondo le promesse fatte in campagna elettorale? Tutte le incognite nel nostro speciale
di Fabio Germani

Che sarebbero state due settimane più complicate del previsto, Emmanuel Macron lo ha capito pochi giorni dopo il primo turno delle presidenziali, quando la rivale Marine Le Pen, in vista del ballottaggio del 7 maggio, si è presentata davanti alla sede di uno stabilimento Whirpool, ad Amiens, per incontrare i dipendenti – a rischio posto di lavoro – dell’azienda americana, che trasferirà nel 2018 la produzione in Polonia. Amiens è la città natale di Macron, leader di En Marche! e candidato centrista all’Eliseo. Lo stesso giorno era in città, ma lontano dalla fabbrica, a parlare in altra sede con le sigle sindacali. Le Pen, invece, era tra la gente, era con il popolo che lei – la sera del 23 aprile – ha promesso di “liberare”. Tutto a favore di telecamere, offuscando l’immagine di Macron a casa. Per di più accolto dai fischi, una volta raggiunto – a quel punto un atto dovuto – lo stabilimento della Whirpool. Quanto accaduto ad Amiens è stato motivo di discussione serrata tra i due – accuse e insulti reciproci, con tanto di insinuazioni e relative denunce – durante il dibattito televisivo a pochi giorni dal voto.

DUE DIVERSE VISIONI DELLA FRANCIA
Macron e Le Pen hanno pochi punti in comune. Entrambi hanno contribuito al tracollo delle forze politiche tradizionali francesi, anche se François Fillon (il candidato dei Repubblicani) dirà che la colpa, piuttosto, è stata della gogna mediatica cui è stato sottoposto durante la campagna elettorale per via di alcuni (presunti) scandali politici che hanno visto protagonisti lui e la moglie. Benoît Hamon, dal canto suo, potrebbe rispondere che di più non poteva proprio fare, che i socialisti hanno pagato a caro prezzo l’impopolarità del presidente uscente, Hollande. Nel mezzo Jean-Luc Mélenchon – il più a sinistra tra i principali pretendenti all’Eliseo – che, da candidato indipendente, ha compiuto un mezzo miracolo, ottenendo al primo turno un risultato pressoché simile a quello di Fillon. Resta il fatto, però, che per la prima nella storia recente né un candidato socialista né uno gollista sono in lizza per diventare il nuovo presidente della Repubblica francese.
Per il resto, tra Macron e Le Pen, la distanza è siderale. I due rivali politici vogliono cambiare innanzitutto l’Europa: da una prospettiva fortemente europeista il primo (Macron è favorevole ad una maggiore integrazione attraverso l’istituzione di un ministro dell’Economia dell’Eurozona) proponendo un referendum che sancisca l’uscita dall’UE la seconda (uno scenario che, al confronto, farebbe presto dimenticare il capitolo Brexit chiamando in causa la moneta unica, seppure si è ammesso negli ultimi giorni di campagna che la discussione sull’euro potrà durare parecchio tempo prima di arrivare ad un accordo sulla libertà per ogni paese di gestire la propria valuta). Le Pen vuole rafforzare il controllo dei flussi migratori, possibilmente abolendo i trattati di Schengen; Macron, pur non negando l’esigenza di una migliore gestione dei flussi, mantiene in materia una posizione più morbida. Le Pen darebbe vita ad una serie di politiche protezioniste; Macron certamente non è contrario agli accordi commerciali internazionali. Su un aspetto, però, Macron potrebbe sembrare quasi d’accordo con Le Pen: senza una serie di riforme ormai necessarie nell’UE il pericolo “Frexit” non sarebbe affatto un’ipotesi peregrina, perché – ha detto alla BBC – «dobbiamo affrontare la situazione, ascoltare il nostro popolo, capire che è arrabbiato e impaziente, che le disfunzioni dell’UE non sono più sostenibili».

IL DIBATTITO TELEVISIVO DEL 3 MAGGIO
Tutte le divergenze sono emerse, se possibile in maniera più evidente, durante il dibattito televisivo del 3 maggio (che secondo le prime rilevazioni al termine del duello tv, il pubblico ha premiato in maggioranza Macron). In circa due ore e mezzo i due contendenti si sono rinfacciati qualsiasi tipo di accusa: “Candidato della globalizzazione selvaggia” o “dei poteri forti”, Macron; “una bugiarda che non sa proporre nulla”, Le Pen. Tra i principali temi trattati l’economia, l’euro e il terrorismo. Sull’economia, come era prevedibile, Macron è apparso più preparato. E pure sulla questione terrorismo, tema inevitabilmente molto sentito in Francia, i due non si sono esclusi colpi bassi.

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L’ECONOMIA FRANCESE
La Francia, che resta la seconda economia europea, ha subìto un drastico rallentamento negli anni della crisi. Nel primo trimestre del 2017, stando alla stima preliminare diffusa dall’Istituto statistico nazionale francese (INSEE), il PIL è cresciuto dello 0,3%, ad un ritmo inferiore rispetto allo 0,5% dell’ultimo periodo del 2016. Si tratta di un dato ancora al di sotto delle attese degli analisti cui hanno contribuito la stagnazione dei consumi privati (+0,1%) e il trend negativo dell’export (-0,7%), a fronte però di un aumento degli investimenti (+0,9%). Il tasso di disoccupazione a marzo 2017 si è attestato al 10,1%, su valore stabili (nell’Eurozona la quota di chi è in cerca di lavoro è al 9,5%). Si è molto discusso in campagna elettorale della controversa riforma del lavoro, di cui Macron – da ministro dell’Economia – è stato fervente sostenitore. Il candidato centrista ha annunciato che non intende ritirarla in caso di elezione, come invece gli ha chiesto Mélenchon (condizione necessaria per appoggiare la sua corsa). Anzi: se da un lato Le Pen conta di penalizzare con più tasse le aziende che delocalizzano, dall’altro Macron rilancia e non fa mistero di voler estendere la riforma del lavoro che nel 2015 tanto scompiglio ha creato, tra manifestazioni sparse per il paese e proteste. Macron vuole più flessibilità – dalla possibilità per gli imprenditori di licenziare più agevolmente agli orari di lavoro (si pensi all’annosa questione del regime a 35 ore settimanali) –, tuttavia evitando gli eccessi come l’abuso di contratti a termine nelle aziende.

LA LEZIONE STATUNITENSE E I SONDAGGI
A Parigi, Marine Le Pen è andata molto male al primo turno delle presidenziali francesi. Un po’ come Donald Trump a New York, o in California – stato generalmente di estrazione liberal. Tutti i candidati sconfitti al primo turno si sono schierati per Macron – fatta eccezione per Mélenchon: circa due terzi dei suoi elettori il 7 maggio non sosterranno il candidato moderato –, compresi l’ex presidente Sarkozy e quello uscente Hollande. Alla stregua di quanto avvenuto negli Stati Uniti lo scorso anno quando molti, anche tra le file repubblicane, hanno preferito sostenere Hillary Clinton anziché l’attuale inquilino della Casa Bianca. In compenso Le Pen ha un bacino elettorale esteso in provincia e nel Nord del paese, dove la crisi economica e la “concorrenza” dei lavoratori stranieri si sono fatti sentire di più. I sondaggi continuano a premiare Macron di molti punti percentuali (secondo alcune rilevazioni addirittura 20), sebbene la leader del Front National – di cui però ha lasciato temporaneamente la presidenza e annunciato l’accordo elettorale con il sovranista Nicolas Dupont-Aignan, fondatore di Debout la France, il quale verrà nominato primo ministro in caso di ingresso all’Eliseo – è riuscita a recuperare terreno negli ultimi giorni. Dopo aver fatto visita ad Amiens agli operai della fabbrica Whirpool, Le Pen è andata a convincere i pescatori nel Mediterraneo francese mostrandosi di nuovo al fianco del popolo contro Macron, definito per l’occasione “il candidato dell’oligarchia”. E c’è da scommettere che in questo senso l’accusa di aver copiato, parola per parola, un discorso di Fillon di poche settimane prima (Le Pen parlava a Villepinte il primo maggio) non avrà ripercussioni gravi sulla sua campagna.

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CHI VOTA IL FRONT NATIONAL (SECONDO IL PEW RESEARCH CENTER)
Il Pew Research Center ha rispolverato pochi giorni fa uno studio in verità datato (è del 2016), ma che fotografa in modo inequivocabile l’identikit dei sostenitori del Front National. Tanto per cominciare il supporto al partito di Le Pen si avverte soprattutto tra gli uomini, i meno istruiti e la porzione di elettorato cattolica. Sono persone che non nascondono la propria avversità nei riguardi dei musulmani (la Francia è stato il paese europeo più martoriato dal terrorismo di matrice islamica tra il 2015 e il 2016), preoccupate inoltre che i rifugiati possano avere un impatto negativo sulle loro vite. Infine gli elettori del Front National sono alquanto scettici riguardo la globalizzazione e tra i meno, o per nulla, entusiasti dell’Unione europea. Sembra di stare a rileggere le analisi alla vigilia delle presidenziali statunitensi, solo in salsa francese. Quello che è certo – al di là, cioè, dei favori dei pronostici per Macron – è che mai come ora il consenso è frammentato in una dimensione dicotomica: due visioni opposte di Francia, due visioni opposte di Europa. Al ballottaggio del 7 maggio i cittadini francesi decideranno quale delle due strade percorrere, se riformare l’UE dall’interno – ultima chiamata, con ogni probabilità – o azzardare un processo di cambiamento molto più radicale.

OLTRE IL BALLOTTAGGIO
Quanto promesso da Le Pen e Macron – a seconda di chi vincerà e delle aspettative dei propri sostenitori – rischia di non “uscire” dai rispettivi libri dei sogni. Perché, conseguenza dell’anomalia di queste presidenziali 2017, il voto più importante in Francia non sarà quello imminente del 7 maggio, bensì quello dell’11 e del 18 giugno quando i cittadini verranno richiamati alle urne per rinnovare l’Assemblea nazionale (dove il governo ha bisogno di una maggioranza). Il sistema politico francese, infatti, non prevede scenari lineari quando si verificano casi eccezionali, cioè che mettano ai margini le forze politiche tradizionali (storicamente la Francia è un paese dalla cultura politica alquanto polarizzata).

Fonte: Wikipedia

In altri termini il futuro presidente correrà il pericolo di non avere una maggioranza certa che lo sostenga, con buona pace delle intenzioni e degli impegni presi in campagna elettorale. Le alternative ci sarebbero, ma restano ipotesi di difficile realizzazione (molto più se all’Eliseo dovesse andare Le Pen): o la coabitazione, con un presidente che adempie alle sue funzioni (in particolare in politica estera) e un governo attento alle faccende di casa, oppure una grande coalizione che però è difficile oggi immaginare in ottica di accordi e poltrone da assegnare. La terza via – nel peggiore degli scenari – è il voto anticipato, ma allora il rischio sarebbe la paralisi politica e amministrativa. Macron, da annunciato vincitore, mira all’effetto traino alle legislative di giugno. Ma se così non sarà e dovendo tessere rapporti e stringere alleanze con tutti i se e i ma necessari, riuscirà a mantenere le promesse fatte in queste settimane?

@fabiogermani

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Le elezioni presidenziali in Francia

 

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